Karlovy Vary 57. Retrospettiva iraniana e molti italiani in giro

Il primo giorno della 57esima edizione ci ha accolto con l’uggia di una giornata cupa e piovosa, dunque non ci resta che fiondarci nel ricco programma organizzato quest’anno per i frequentatori del festival della città termale, sperando in futuri raggi di sole e in belle sorprese cinematografiche…

Il concorso principale sembra promettere, almeno sulla carta, un menù interessante e vario, anche se (come è abitudine da queste parti) mancano i grossi nomi e si privilegiano scoperte e percorsi alternativi. Due i rappresentanti del cinema di casa, che da qualche anno cerca di riaffermarsi a livello internazionale, propone qualche buon nome nuovo, ma non sembra riuscire a “sfondare”. Si tratta di Tomas Klein, che porta in competizione Un uomo sensibile, che è l’adattamento di un complesso romanzo (in teoria difficilmente filmabile) uscito dalla penna di uno dei migliori romanzieri cechi, Jachym Topol (cercate in libreria le traduzioni italiane, non mancano…). Klein non è un vero e proprio debuttante, in quanto nel 2016 il Maestro della nova vlna JanNemec, ormai malato, si affidò a lui per completare la sua ultima opera (The Wolf from Royal Vineyard Street). Matej Chlupacek, l’altro ceco in concorso, aveva già debuttato giovanissimo nel lungometraggio di finzione (con Touchless, nel lontano 2013), ma poi si era un po’ perso dedicandosi ai serial televisivi, e torna oraalla forma maggiore, “solo” dieci anni dopo, con il suo We HaveNever Been Modern, storia di disforia sessuale ambientata nella Cecoslovacchia pre-invasione hitleriana.

Particolarmente curioso è per noi il debutto, direttamente in un concorso internazionale, di Marco Righi, che con il suo Il vento soffia dove vuole, riporta l’Italia nella competizione principale, dove, a nostra memoria, di solito venivano presentati titoli già passati in altri festival o addirittura già distribuiti nelle sale del Belpaese. Speriamo che la gradita attenzione dei selezionatori per il nostro cinema venga premiata come si deve grazie a questa storia dagli addentellati biblici, ambientata in un paesino degli Appennini.

Si diceva di nomi nuovi, e qui fra le foreste boeme non sono mai mancati i debutti interessanti: quest’anno potrebbero essere rappresentati dallo svedese Ernst De Geer, che con il suo Hypnosisprova a smontare gli stereotipi sociali con la storia di una ragazza che perde casualmente le sue inibizioni sessuali, o dalla spagnola Itsaso Arana, che dopo essere passata in concorso come attrice, passa ora per la prima volta dall’altra parte della camera da presa con il suo The Girls Are Alright, storia tutta femminile incentrata su una prova teatrale.

Behrooz Karamizade è invece un debuttante che viene dall’Iran (torneremo a breve su questa cinematografia): con il suo EmptyNets egli disegna un dramma sociale dedicato alle difficoltà quotidiane dei giovani iraniani. Altro iraniano, ma naturalizzato anglosassone, è Babak Jalali, che qui porta il suo ultimo Fremont, già passato al Sundance Film Festival.

Più navigati, già passati o premiati in festival di Classe A sono poi il bulgaro Stefan Komandarev (qui con Blaga’s Lessons), o il canadese Pascal Plante, il cui Red Rooms si avvale della direzione della fotografia di Vincent Biron, che esordì qualche anno fa alla regia con il divertente e scanzonato Prank, passato alla Settimana della critica veneziana. Qui però ci sarò poco da ridere, trattandosi di una storia di omicidio, ossessione e sottomissione psicologica.

Per chiudere questa breve introduzione al parterre in concorso ci piace poi ricordare l’unico documentario che ambirà al Globo di Cristallo 2023, Dancing on the Edge of a Volcano, del libanese Cyril Aris, descritto come una “ballata drammatica” sulla situazione della Beirut ancora sconvolta dalla tremenda esplosione che tre anni fa ne approfondì ancora maggiormente la disastrata situazione socio-economica. Confessiamo che questa è una delle opere che ci interessano maggiormente.

Si parlava della partecipazione iraniana: oltre a Panahi, di cui si potrà riammirare lo splendido Gli orsi non esistono, è particolarmente lodevole la scelta di Karel Och (il direttore artistico) e compagni di dedicare quest’anno una speciale retrospettiva al cinema di Tehran e dintorni. Non Fahradi oMakhmalbaf, ma nove autori meno noti, raccolti nella sezione “Una nuova nascita. Il cinema iraniano qui e ora”. Dalle sinossi del catalogo (interessante la scelta di risparmiare carta e limitarsi alla versione digitale, chissà se piacerà a tutti e ispirerà altre manifestazioni…) temi e voci sembrano le più varie, e non si limitano a mappare gli ultimi avvenimenti che hanno sconvolto il Paese. Sarà particolarmente curioso e istruttivo farsi un’idea delle nuove produzioni (le date di produzione vanno dal 2019 ad oggi) che vengono da quelle parti.

Poco qui possiamo dire sull’altra sezione competitiva, “Proxima”, che ormai ha definitivamente scalzato l’utile “Ad Est dell’Ovest”, che per anni ci aveva permesso di farci un’idea complessiva della produzione est-europea. Vi troviamo quest’anno dodici film, che spaziano dalla Cechia alla Corea del Sud, dalla Polonia all’India, fino ad un’ulteriore prima mondiale iraniana, quel Dark Matter, che sembrerebbe ondeggiare fra un omaggio alla nouvelle vague e la riflessione metacinematografica. Staremo a vedere e ne riparleremo, se merita, a festival concluso.

In conclusione due notazioni più di contorno: l’attenzione al pubblico e allo star system anche quest’anno è confermata dagli omaggi a Russell Crowe (presente anche con un concerto live), Ewan McGregor e Alicia Wikander, per la gioia dei giovani cinefili locali, mentre non possiamo che rallegrarci per l’attenzione diffusa e ampliata per il nostro cinema, che oltreall’esordio in concorso di cui sopra, può vantare una dozzina di titoli, sparsi nelle varie sezioni: si va da La chimera della Rohrwacher a Monica di Pallaoro, per passare a nomi affermati come Bellocchio (e il suo Rapito) o Davide Ferrario (con il suo omaggio a Umberto Eco – La biblioteca del mondo), e finire con i più sperimentali Gli ultimi giorni dell’umanità (di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo) e Una claustrocinefilia, dell’amico Alessandro Anniballi, cui, in chiusura, facciamo i migliori auguri.

MASSIMO TRIA