A chiudere la sezione Orizzonti della Mosra di Venezia di quest’anno è l’indonesiano Garin Nugroho col suo Kucumbu Tubuh Indahku (per chi non fosse ferrato in giavanese “ricordi del mio corpo“), racconto di formazione che segue il suo tormentato protagonista nella scoperta della sua identità e sessualità negli ultimi villaggi delle zone più remote dell’isola di Giava.
Protagonista di questo atipico queer movie è il ballerino Juno, che alternando riassutni degli episodi più importanti della sua vita a brevi ma impressionanti performance lengger, la sensuale ed esoterica danza tradizionale del centro dell’isola di Java, fa da narratore alla complicata storia della sua vita, che parte dalla prematura scomparsa del padre e passa per uno strano rapporto con la sessualità, complicato dalle difficili esperienze avute sia nelle scuole di lengger che nella vita affettiva e sentimentale, concentrandosi su un lungo viaggio senza meta tra i villaggi della sua paludosa regione.
Che a trattare temi legati alla realtà LGBT e all’identità sessuale sia un film che geograficamente e culturalmente parlando viene da molto lontano fa sempre piacere, anche solo per la curiosità di conoscere come mondi pressoché ignoti ai più si relazionano con questi temi. A fare meno piacere è il modo in cui è costruito il film, con una serie di lunghi silenzi che seguono i viaggi di Juno da un villaggio all’altro intramezzati da scene al contrario rumorosissime e impressionanti, che a volte servono a raccontare nel più crudo dei modi le esperienze del protagonista e a volte appaiono quasi gratuite.
La mano e la testa di un regista esperto si vedono, sia per l’idea dietro alla struttura narrativa (con gli intermezzi in cui Juno prima racconta un episodio del suo passato e poi lo reinterpreta con una breve coerografia) che per la cura con cui sono riprese alcune scene, una su tutte un crudissimo omicidio proprio nelle prime scene del film. Tuttavia in alcuni punti il film si perde, con la riflessione sui traumi di Juno che diventa una scusa per il regista per sperimentare scene forti e al limite dell’impressionante che esulano però da quello che sembrava l’intento del film. Interessante il lavoro fatto con la danza, usata per raccontare aneddoti, sensazioni e ricordi dolorosi al posto di immagini e parole.