“Scritto e diretto” da Aaron Sorkin sarebbe di per sé un motivo più che sufficiente per vedere questo film, da oggi al cinema, e disponibile sulla piattaforma di Netflix dal 16 ottobre.
Nel 1968 (il 24 settembre), la neo amministrazione Nixon diede il via al processo accusatorio per cospirazione contro sette “presunti” responsabili di una violenta protesta contro la guerra in Vietnam, durante la Convention Democratica svoltasi a Chicago. In realtà, erano originariamente i “Chicago 8”; ma alla fine le accuse furono respinte contro il leader della Pantere Nera, Bobby Seale, che fu privato di un avvocato e imbavagliato in aula. Il processo durò circa un anno.
Sensibile e retorico, senza ombra di dubbio teatrale, amante di discorsi e dialoghi senza tregua (la serie tv The West Wing incarna la perfetta definizione della dialettica del wall-and-talk) – quindi non vi aspettate nulla di meno – Sorkin vede finalmente messa in azione una storia che ha in ballo da almeno 13 anni.
Inizialmente era Steven Spielberg il prescelto alla regia, una serie di intoppi e scioperi all’interno della manovalanza creativa del mondo hollywoodiano, hanno rallentato e poi messo il progetto nel cassetto.
Quello che vedrete è: un processo con una sentenza decisa prima ancora che il giudice entri in aula; il grido di 7 imputati che invocano un processo equo; la creazione, attraverso il giudice e la pubblica accusa, della paranoia dei tempi e la politica di Nixon (così facendo Sorkin getta un’ombra sulla politica patriottica americana di questi brutti tempi).
Eccentrico e, allo stesso tempo, pragmatico Sorkin veste ogni personaggio, anche minore, con una personalità su misura; la sua forbita astuzia emerge da un montaggio morbido, solido e illuminante – che gli permette di integrare, spiegare, muoversi nel tempo, entrare e uscire dal processo – capace di imprimere maggiore autenticità al dibattimento.
Il processo ai Chicago 7 è un agile dramma, carico ed emotivo, che sfrutta a suo vantaggio un impianto da commedia (qui impersonata, con rispetto e magnetismo, dagli imputati Abbie Hoffman (Baron Cohen) e Jerry Rubin (Strong), per guardare con aria beffarda, ma di clownesca tragedia e tristezza, gli ingranaggi di una politica sporca che ha messo in piedi un processo farsa, un circo dove gli animali in gabbia erano giovani che stavano provando a cambiare il sistema, a lottare per i loro ideali pacifisti e democratici.
Sorkin ha raffigurato, attraverso il suo cast stellare, il bilico tra cronaca e dileggio della follia delle guerre: quella in Vietnam, quella per cui è stato ucciso Martin Luther King, quella per le strade tra i manifestanti e i manganelli della polizia, quella in un’aula di tribunale; quella contro i giochi di potere conservatori.
Il processo ai Chicago 7 si rivela quindi una storia tagliente non solo su questi personaggi – Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davies, John Froines, Lee Weiner – ma sul sistema della giustizia americana di ieri, e volutamente di oggi.