Con Darwin inconsolabile di Lucia Calamaro si è conclusa “Asteroide Amor”, la fortunata rassegna veneziana che ha visto per la prima volta riunite quattro istituzioni cittadine: Fondazione di Venezia, Ca’ Foscari, Iuav e Teatro Stabile del Veneto. Questa collaborazione ha consentito di presentare uno spaccato eterogeneo e articolato della scena italiana contemporanea, suddivisa nelle sue molteplici declinazioni.
La risposta del pubblico (anche grazie all’ingresso facilitato per gli studenti, sul solco di Giovani a Teatro, l’iniziativa promossa con grande successo dalla stessa Fondazione di Venezia qualche anno fa) è stata massiccia: sold out si sono costantemente verificati non solo al Teatro Ca’ Foscari di Santa Marta, ma anche nella più ampia sala del Teatro Goldoni. I motivi di questa massiccia affluenza stanno con ogni probabilità nel tipo di offerta, svincolata, anche grazie all’intervento attivo dei due atenei, dagli spettacoli ‘di giro’ che i teatri nazionali si scambiano tra loro.
E nuovo in effetti è stato il panorama raccolto dalla manifestazione, che in tre mesi – da marzo a maggio – ha proposto nove appuntamenti, suddivisibili in diverse ‘macrozone’. Tra queste, si considera qui quella legata alla drammaturgia, elemento del fare scenico talvolta considerato ormai desueto ma sempre rifiorente e ricco di implicazioni. In questo senso, “Asteroide Amor” è stata per così dire ‘incorniciata’ dal pungente testo-esercizio di Caryl Churchill, L’amore del cuore, messo in scena da Lisa Ferlazzo Natoli, in cui il filo del discorso è perennemente interrotto e ripreso con variazioni verbali e ritmiche, e dal già citato Darwin inconsolabile, in cui i tre bravissimi interpreti immettono lo spettatore nell’universo di relazioni familiari, denso di disfunzioni e precarietà, che distingue da sempre i lavori della pluripremiata autrice romana. Ma anche il rodato duo composto da Daria Deflorian e Antonio Tagliarini in Chi ha ucciso mio padre ha scelto questa volta un testo letterario, il dolente libro-pamphlet dell’enfant prodige francese Édouard Louis, per parlare dei guasti (sociali e morali) dell’opulenta Europa, in un teso monologo interpretato dal bravo Francesco Alberici.