VENEZIA – La riscoperta del catalogo teatrale vivaldiano continua con La Griselda, in cartellone al Teatro Malibran fino all’8 maggio. Ispirata all’ultima novella del Decameron, la vicenda rielaborata da Apostolo Zeno si fa molto più intricata e non meno lo sarà nella revisione che Carlo Goldoni compirà nel 1735, autore della riscrittura di alcune arie e della nuova ambientazione, non più in terra sicula, ma a Larmirio in Tessaglia. Versione muliebre di Giobbe, Griselda, fedele al suo dio terreno, affronta con fierezza e compostezza le prove che il crudele marito Gualtiero escogita per testarne la dedizione. La novella del Boccaccio indubbiamente doveva essere ben conosciuta dagli autori di Moll Flanders e Pamela, testimonianza di come il prototipo della donna remissiva sopravviveva ancora nel Settecento.
Cosa evidenziare oggigiorno di questo libretto per rendere attuale questa vicenda di violenza maschile e sottomissione femminile? Gianluca Falaschi propone una lettura basata sulla questione di genere. Aiutato dal drammaturgo Mattia Palma, Falaschi procede per dicotomie. La donna può essere regina, principessa, ancella, pastorella, madre, sposa e oggetto sessuale. All’uomo poco rimane, è re, amante, guardia o stupratore. Se all’inizio tale interpretazione pare funzionare, a lungo andare si rivela fallace, in quanto non viene più di tanto approfondita dalle dramatis personae, ma dalle controscene: stupri, pestaggi, sevizie sono a carico di mimi e figuranti. Lasciare i cantanti in proscenio è congeniale alla buona esecuzione dei lunghi numeri musicali, ma si rivela debole nel dettato drammaturgico in quanto svuota l’essenza dei personaggi rendendoli poco incisivi nell’azione.
Falaschi nasce costumista ed eccelle proprio nei costumi sui quali lo sguardo indugia con piacere. Raffinati quelli femminili – Angelica pare una giovanissima Margaret Windsor – tutti diversi gli smoking maschili, uno più bello dell’altro. Le scene, sempre di Falaschi e bene illuminate da Alessandro Carletti e Fabio Barettin, si riassumono in un androne razionalista che cela il “luogo agreste” ove si rifugia Griselda.
Alla guida dell’ispirata orchestra del Teatro La Fenice, il maestro Diego Fasolis fornisce una lettura ricca, sontuosa e sempre chiara della partitura vivaldiana, evidenziando la portata innovativa della scrittura del Prete Rosso.
Nel ruolo eponimo figura Ann Hallenberg, interprete di riferimento internazionale che, grazie al fraseggio portentoso e un temperamento perfetto, reincarna l’estro della Girò, più portata secondo le fonti al canto d’espressione che al virtuosismo. Rimangono impresse pagine come “Ho il cor già lacero” e “Sonno, se pur sei sonno”.
Michela Antenucci come Costanza risolve con successo “Agitata da due venti” e mette in risalto la bellezza cromatica del suo strumento nella splendida “Ombre vane”.
Kangmin Justin Kim, controtenore coreano-americano divenuto celebre per una parodia spassosissima di Cecilia Bartoli, è Ottone funambolico. Versatile nei registri, dall’acuto pieno ai bassi potenti, rapisce l’ascoltatore con una cadenza particolarissima in “Vede orgogliosa l’onda” e nella pirotecnica “Dopo un’orrida tempesta”.
Il Roberto di Antonio Giovannini può contare sull’ampiezza di fiati, l’emissione sempre chiara e il ricco fraseggio.
Rosa Bove nel ruolo di Corrado risente a tratti del volume orchestrale ne “Alle minacce di fiera belva”, ma nel complesso si disimpegna egregiamente. Il Gualtiero di Jorge Navarro Colorado ha voce dura, poco malleabile alle sonorità del barocco, lasciando intendere una confusa dimestichezza con gli affetti.
Sala piena alla prima del 29 aprile con applausi per tutti e qualche contestazione al team artistico.
Luca Benvenuti