Il Teatro Comunale di Bologna sta portando in scena, proprio in questi giorni, la Lucia di Lammermoor; opera ritenuta secondaria rispetto ad altre più celebri di Donizetti. Una grande occasione per godere di un’opera ingiustamente scavalcata; eppure questa occasione si è trasformata in una serata deludente – a causa, principalmente, di quattro elementi.
1. Iniziamo dall’acustica del teatro, davvero pessima; mentre il Teatro Comunale sta affrontando importanti lavori di ristrutturazione, tutta la programmazione è stata spostata al così chiamato “Teatro Comunale Nouveau”: ovviamente un teatro moderno e poco affascinante, ma ciò che mi preme sottolineare è l’acustica veramente inadatta alla rappresentazione lirica: le voci erano completamente “mangiate” dall’orchestra, inoltre non c’è un’insonorizzazione adatta verso l’esterno: allarmi e rumori di vario genere hanno influenzato negativamente l’ascolto.
2. La scenografia è molto semplice, fatta di pannelli mobili che creano l’immagine di un bosco. A questa scenografia essenziale si aggiungono delle panche, nel momento del matrimonio, e un tavolo, che contribuisce alla scena dei festeggiamenti. Una scenografia scarna dicevamo, ma che almeno non portava elementi di disturbo all’opera. Questo fino all’ultima scena. Qui, mentre Edgardo sta pensando di togliersi la vita, è stato ritenuto opportuno inserire la carcassa di un’automobile e un paio di cadaveri femminili. Perché la carcassa di un’auto? Perché non un’auto tutt’intera? E i due cadaveri cosa rappresentano? Non è dato sapere. Così come altrettanto misteriosa appare la scelta di far incendiare tutto, proprio sul finale: il Coro si presenta sul palco portando birre e taniche di benzina. L’immagine della virilità.
3. Altrettanto difficile comprendere le scelte registiche. Si è dato un taglio sicuramente sensuale all’intera rappresentazione, e questo poteva anche starci; si tratta pur sempre di un’opera che fonde amore, passione e tradimento. Ciò che rimane oscuro è la scelta di portare sul palco delle “mini storie” di violenza femminile, totalmente fini a sé stesse. Fin dal primo quadro, la narrazione principale è oscurata da quanto avviene sullo sfondo: mentre Enrico canta l’odio per il nemico, uomini non meglio identificati sembrano violentare alcune ragazze; le ragazze tentano di scappare, ma vengono malmenate e gli uomini ne “riprendono possesso”. Forse questa “storia nella storia” si ricollega ai due cadaveri abbandonati accanto all’auto, nel finale? Qual era il messaggio? Il fatto che non si sia capito, è la prova che non ha funzionato.
4. L’aspetto più scandalosamente irritante della messa in scena è costituito dai costumi. Cos’è passato per la testa di Agnese Rabatti è un mistero. Per l’ennesima volta ci troviamo davanti un’opera completamente snaturata da costumi che non rispettano la linea temporale della narrazione. Per un libretto ambientato nel XVI secolo, in una Scozia grigia e nostalgica, la Rabatti ha scelto per tutti uno scatenato abbigliamento anni ’50. Non ho potuto trattenere le risate quando Edgardo è apparso in scena coi jeans e il giacchino di pelle: un Fonzie scozzese. Enrico e il suo fido Arturo, più sobri, erano vestiti come gangster, con tanto di bretelle e revolver pronto a sparare. Nel Coro spiccavano in particolare gli elementi femminili, con gonne a ruota, cappellini e abiti gialli o floreali, molto accesi. Ma davvero nel 2025 c’è chi ancora pensa di “modernizzare l’opera” semplicemente modernizzando i costumi? C’è chi ancora pensa che questo costituisca una novità? E’ già stato fatto migliaia di volte, in modi anche più eleganti, e il risultato è sempre lo stesso: se Lucia non commuove in camicia da notte, non commuoverà nemmeno in jeans.
Insomma, tutti questi elementi hanno “lavorato contro” l’opera stessa. Le musiche meravigliose di Donizetti, il libretto perfetto di Cammarano sono stati almeno rispettati dall’ottima esecuzione dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Bravi anche gli interpreti: l’australiana Jessica Pratt nelle vesti di Lucia, l’americano Lucas Meachem in quelle di Enrico e il peruviano Iván Ayón Rivas nel ruolo di Arturo. Un’internazionalità che si è riflessa anche sul pubblico: molti infatti i turisti stranieri in visita a Bologna che hanno scelto di assistere alla performance.
Una menzione particolare va alla vera star della serata, Philipp Marguerre, che si è unito all’Orchestra del Comunale con il suo verrophone, una versione più “moderna” della glassarmonica. Nella Lucia, Donizetti scelse uno strumento così particolare per “dare voce” alle presenze ultraterrene percepite dalla protagonista ormai impazzita. Se la glassarmonica si è diffusa nel mondo della musica sinfonica (lentamente, perché sono pochi i virtuosi dello strumento), nell’opera lirica la troviamo solamente in tre rappresentazioni: la Lucia, appunto; La donna senza’ombra di Strauss; e l’opera contemporanea Written on skin di George Benjamin. Marguerre, come un incantatore di bicchieri, ha stregato il pubblico con una performance ultraterrena, “da brivido”, che sarebbe piaciuta a Donizetti. Con le sue dita ha dipinto, anche se per pochi minuti, le atmosfere gloomy e spettrali della Scozia di Cammarano. Un paesaggio sonoro così ben riuscito e così rispettoso del libretto originale, che ha salvato da solo l’intera rappresentazione.
Lucia di Lammermoor
Gaetano Donizetti
Libretto di Salvatore Cammarano
Tratto da The Bride of Lammermoor di Walter Scott
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo
Direttore: Daniel Oren
Regia: Jacopo Spirei
Maestro del Coro: Gea Garatti Ansini
Scene: Mauro Tinti
Costumi: Agnese Rabatti
Luci: Giuseppe Di Iorio
Interpreti
Lord Enrico Ashton: Lucas Meachem
Lucia: Jessica Pratt
Sir Edgardo di Ravenswood: Iván Ayón Rivas
Lord Arturo Bucklaw: Vincenzo Peroni
Raimondo Bidebent: Marko Mimica
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
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