Presentato lo scorso anno al festival di Sundance, è in arrivo a giorni nei cinema italiani The Eagle Huntress – distribuito con il più evocativo La principessa e l’aquila – , documentario dell’esordiente Otto Bell su una giovane mongola e il suo sogno di praticare la caccia con l’aquila sfidando la tradizione.
In una yurt in Mongolia alle pendici dei Monti Altai vive Aisholpan: la ragazza ha solo 13 anni ma le idee già molto chiare: vuole diventare una cacciatrice, come i suoi avi – maschi – prima di lei. I membri più conservatori della comunità avrebbero da ridire a riguardo, ma con il supporto del padre continua sulla sua strada: catturata la propria aquila reale, si dedica anima e corpo ad addestrarla in vista del grande festival che si tiene annualmente nella provincia di Ölgii, dove sbaraglia gli altri contendenti aggiudicandosi il primo premio. Ma la prova definitiva sarà la caccia alle volpi durante il rigidissimo inverno.
Largamente apprezzata in virtù dell’esplicito messaggio femminista, l’opera prima di Bell è interessante non tanto per la storia che racconta quanto per le questioni che solleva. Se infatti si riflette su quanto La principessa e l’aquila dice del contesto socioculturale e geografico in cui vive Aisholpan, si resta con poco o niente: in altre parole, Bell non vuole fare divulgazione etnografica sugli usi e costumi dei nomadi kazaki, ma renderci partecipi dell’epopea della protagonista, epopea che, a dirla tutta, non fosse stato per la scelta del medium documentaristico di sicuro non avrebbe suscitato tanto entusiasmo. E qui casca l’asino, dal momento che lo stesso statuto documentaristico de La principessa e l’aquila è stato messo in discussione dalla critica.
In più di un’occasione si ha l’impressione di stare assistendo alla messinscena di un copione: il caso più emblematico è la scena in cui Aisholpan si inerpica sul picco di una montagna per raggiungere il nido dell’aquila, a detta del regista frutto di un’unica, fortunata ripresa ma che non manca di destare qualche sospetto, acuito dal montaggio che glissa su fondamentali passaggi della risalita. Ancora, quando il padre e il nonno seduti fuori della tenda convocano la ragazza per darle la loro benedizione, si ha un’impostazione quasi teatrale, con i due uomini che dopo un discorso solenne convocano sul “palcoscenico” Aisholpan. L’elenco potrebbe continuare, ma ci limitiamo a dire che in generale i dialoghi non suonano spontanei e sono sempre finalizzati a esaltare la figura della giovane cacciatrice, cosa che non si confà al genere documentario ed è vicina semmai al cinema di fiction fondato sulla tradizionale divisione dei ruoli.
Un altro fattore che fa pendere La principessa e l’aquila in questa direzione è la manipolazione della realtà storica onde presentare l’impresa di Aisholpan come un primato: diversi studiosi hanno contestato a Bell il fatto che in passato siano esistite diverse cacciatrici all’interno delle comunità nomadi dell’area e che, per quanto ciò sia effettivamente un’eccezione alla regola, non costituisca tabù. Questo perché, a detta dei medesimi esperti, la cultura di tali popolazioni non sarebbe caratterizzata da misoginia, ma solo da una generale riluttanza a deputare alla donna – per tradizione curatrice della prole e del focolare – un’attività sfiancante come quella della caccia con l’aquila.
A sua volta, la voce narrante di Lodovica Comello – in originale quella di Daisy Ridley – , che a più riprese commenta la difficoltà delle prove che Aisholpan deve via via affrontare, contribuisce a conferire a La principessa e l’aquila il tono di una favola dei nostri tempi.
A questo punto, non c’è da meravigliarsi se questa pellicola di nicchia ha sbancato al botteghino, dal momento che le forzature sopra elencate altro non sono che un espediente per incontrare il gusto del grande pubblico, fermo restando che si tratta di un prodotto qualitativamente notevole. La principessa e l’aquila può vantare un’ottima fotografia e paesaggi memorabili, oltre a essere molto piacevole da seguire proprio in virtù del suo esulare dal documentario. E cercare di capire quanto consapevolmente Bell abbia giocato col mezzo e a che pro sarà la sfida più stimolante per lo spettatore.