Dopo i Momix, arriva al Teatro Toniolo di Mestre La scuola delle mogli di Molière. Ritenuta espressione della maturità del commediografo francese, forse in parte autobiografica, segna il passaggio dal teatro comico al nuovo teatro realistico. Ispirata a La Précaution inutile di Scarron, fonte anche de Le Barbier de Séville di Beaumarchais, la commedia affronta il tema delle corna ed ebbe numerosi detrattori a cui l’autore rispose con La Critique de l’École des femmes.
Se ne Le intellettuali, titolo spassosissimo che Arturo Cirillo portò al Toniolo dodici anni fa, abbondavano pizzi e parrucconi, qui l’approccio è più moderno. Molière, si sa, approfondisce l’essere umano e scandaglia le leggi del desiderio, creando monomaniaci farneticanti come Arnolfo, Alceste, Argan. E’ un cinico mosso comunque da un forte bisogno d’amore, come confesserà coinvolgendoci nel terzo atto – ed è questa la cifra della maturità moliériana. Ci accorgiamo, con amarezza, quanto sia tragicamente attuale la concezione della donna. Arnolfo ne proclama il manifesto nella celebre scena delle maximes du mariage: stupida, relegata in casa, dimessa e ignorante. Il modello di compagna ideale che certi uomini desiderano ancora nel 2019, ricerca che sfocia a volte nel femminicidio quando la gelosia e l’incapacità di rielaborare i legami materni prendono il sopravvento. Per tacere di casi come quelli di Natascha Kampusch e Elisabeth Fritzl.
Una casa di bambola
Arnolfo ha sequestrato la sua pupilla Agnese all’ultimo piano della sua dimora. Il paradosso è che in realtà la ragazza non è quello che vorrebbe il padrone perché, complice la natura, l’istinto e l’intelligenza del cuore, ha la fortuna di conoscere Orazio e innamorarsene. Agnese parla poco, 150 versi totali, una lenta conquista della parola, come osservò Bernard Magné, contrapposta alla verbosità di Arnolfo, piuttosto avara di lessico, paranoicamente concentrata su honnêteté, cocuage, innocence, ignorance, simplicité. A nulla varranno i piani di Arnolfo, «indefesso fustigatore delle debolezze altrui come anche una fragilissima vittima del proprio gioco». Il finale, leggermente variato e che non sveliamo, lascia per un attimo interdetti, ma acquista un senso se letto nell’ottica dell’emancipazione femminile.
Cirillo pensa a una casa girevole a due piani, anonima come quelle disegnate dai bambini, grigia di sotto dove stanno i servi, e rosa in alto, un paradiso-cella con una finestrella da cui a malapena la sventurata riesce ad affacciarsi. Le scene di Dario Gessati danno vita a questa casa-prigione, ricordandoci, grazie alle luci di Camilla Piccioni, le tinte di Malevič, Schifano e Franco Fontana. I costumi di Gianluca Falaschi sono in stile per Agnese e i servi, moderni per gli altri personaggi, ma damascati e quindi anch’essi un po’ antichi.
La compagnia giovane ed eterogenea ha permesso a Cirillo di lavorare con concretezza, facendo risaltare il talento di ognuno. Presente per diciassette sequenze su ventidue, il suo Arnolfo è scattoso, irrequieto, quasi consumato dal vivere il ruolo di delirante pazzoide. Valentina Picello, che ricordiamo nello splendido Le donne gelose, opera incompiuta di Luca Ronconi, è Agnese perfetta, ricca nelle espressioni ed efficace in ogni battuta. Giacomo Vigentini veste i panni di Orazio, l’innamorato, con scalpitante ardore e zelo. Completano degnamente il cast Rosario Giglio che è sia Crisaldo che Alain, servo di Arnolfo, e Marta Pizzigallo, come Georgette.
Pubblico abbastanza partecipe alla recita del 28 novembre. Ultime repliche sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre.
Luca Benvenuti
Credits Luca Del Pia