Le atmosfere “fuori dal tempo” di Giorgio Poi alla XXIII edizione del Vulcanica Live Festival

Il Palazzo Fortunato, cornice da anni del Vulcanica Live Festival, si colora anche quest’anno di note e suggestioni. La prima serata ha accolto artisti quali Leuna con il loro repertorio ricco di contaminazioni, Rocco Mentissi accompagnato da Francesco Mentissi in una fusion tra musica classica ed elettronica, Vito ‘Vitus’ Viglioglia che ha arricchito l’esibizione con sperimentazioni sonore.

Protagonista della seconda serata, il cantautore romano Giorgio Poi preceduto da due giovani artisti lucani, Francesca Moretti con il suo indie-pop di nuova generazione e Michelangelo Vood che torna per il secondo anno al Vulcanica, con il suo sound brit pop ed elettronica, amalgamato ai più classici riferimenti ai cantautori italiani.

Giorgio Poi sale sul palco e imbraccia un sax. Incomincia a suonare insieme ai suoi eccellenti musicisti (Francesco Aprili – batteria, Matteo Domenichelli – basso, Benjamin Venturae – pianoforte) e il Palazzo Fortunato inizia a scaldarsi. Si susseguono fluidi i brani, quelli dal sapore più rock dei dischi precedenti Niente di strano, Tubature, Acqua minerale, Il tuo vestito bianco (Fa niente), Stella, Vinavil, La musica italiana (Smog), passando per le atmosfere sognanti del suo nuovo album Gommapiuma che racconta un quotidiano di solitudini nel quale, evidentemente, c’è bisogno di tepore, di conforto, leggerezza quella delle nuvole disegnate sulla copertina.

Era inevitabile un cambio di rotta nell’evoluzione dell’artista, condizionato dal momento storico di smarrimento e sospensione che abbiamo vissuto in questi due anni. E in questo nuovo progetto Poi confida, senza maschere, inquietudini e vulnerabilità, perché dobbiamo difenderci prima che il buio ci fotta (Barzellette) e da quei giorni affilati come rasoi (Rococò).

Ci consoleremo con una granita al limone anche se fuori piove (Rococò) che rinfresca proprio come l’accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo (Vieni via con me) dell’elegante Paolo Conte, riscalda.

Le parole si amalgamano a sonorità che tramontano in un decadentismo anni ottanta e in dissonanze estranianti che fanno lievitare.

In un’epoca bombardata da mere immagini social, le parole assumono un valore ancor più potente, e il cantautore romano, lo ricerca nel significante oltre che nel significato.

Giorgio Poi imbraccia nuovamente il sax dell’inizio concerto e, aspettando, come tutti noi, che passi questa alta marea (Moai) chiude a cerchio una parabola di verità e gentilezza.

Foto Giovanni Marino