L’elisir d’amore al Castello Carrarese di Padova

Dopo l’Orfeo, il 2 agosto al Castello Carrarese è la volta de L’elisir d’amore di Donizetti, sempre in coproduzione con Bassano Opera Festival.

Il giovane regista Yamal Das Irmich, a cui si deve anche Il barbiere di Siviglia al Castello nel 2018, basa la drammaturgia su due concetti attuali: la dipendenza, sia affettiva che materiale, e l’effetto placebo. Adina una life coach dell’associazione “Placebo – Adinarisponde”, quasi una setta dedita a esperimenti sociali; Nemorino è un bamboccione ossessionato dalla bella Adina e lavora alle sue dipendenze come uomo delle pulizie; Belcore è videogame addicted. Dulcamara è infine tutto ciò che incarna la dipendenza da Internet: acquisti compulsivi su Amazon, fake news, motore di ricerca…una rete tentacolare come le code del suo frac. Oltre a queste caratterizzazioni, poco accade sulla scena. Il risultato, migliore rispetto a quanto visto nel 2018, è una commedia sì di caratteri, ma non di ambiente e di sensiblerie romantica, elementi invece importanti nell’economia dell’opera.

La scena pensata da Matteo Paoletti Franzato, che cura anche i costumi, è uno spazio vuoto, circondato da fili Tripolina, che alla bisogna diventa il salone dell’associazione e la camera di Nemorino, tappezzata di poster e foto di Adina. Il tutto dentro la cornice di un pc, finalmente spento dai due amanti al termine del loro viaggio, definito “interiore”, invero ben calato nella realtà. Come in Barbiere, grande uso di luci fredde.

Il cast

Jessica Nuccio è Adina composta, non sempre dalla dizione chiara e la linea di canto trova qualche fissità nella salita all’acuto, cosa che non aiuta nelle fiorettature di passi come “Il mio rigor dimentica”. Vuoi per la regia vuoi per non essere soprano lirico d’agilità, il personaggio perde di consistenza, sembrando più un’ingenua Amina che una determinata imprenditrice. Nemorino è Giordano Lucà, dal timbro nasale, privo di particolare colore, ma piuttosto corposo nel centro e funzionale al personaggio che strappa ovviamente caldi consensi dopo “Una furtiva lagrima”. Il Dulcamara di Filippo Polinelli non possiede una voce ampia e ridondante, requisiti fondamentali per un imbonitore, e sorvola sui sillabati. Leonardo Lee, baritono coreano primo classificato al Premio Iris Adami Corradetti 2018, è un Belcore gigione, ma pecca a tratti in intonazione, come nella cadenza della cavatina d’entrata, e in malleabilità. Corretta la Giannetta di Silvia Celadin.

Buona la prestazione del Coro Lirico Veneto, preparato dal maestro Stefano Lovato.

Già direttore del Barbiere dell’anno passato, il maestro Nicola Simoni guida l’Orchestra di Padova e del Veneto in una lettura piuttosto critica. Come in Rossini, mancano agogiche e tempi coerenti con l’azione, oltre al rapporto con i cantanti e il coro, abbandonati a se stessi nel finale primo e secondo. L’orchestra, invece di essere parte integrante del tessuto narrativo di Elisir, è ridotta da Simoni a mero accompagnamento. Dove sono i frizzi e le invenzioni strumentali che accompagnano l’ingresso di Dulcamara? Dove il languore di “Chiedi all’aura lusinghiera” o la prosopopea di “Come Paride vezzoso”? Sinceramente fuori luogo la scelta di far cantare a Dulcamara la “Barcarola” in stile Jannacci, così come i recitativi accompagnati dalla tastiera elettrica.

Nonostante la pioggia che ha interrotto la recita prima dell’intervallo, il pubblico rimane fino alla fine per applaudire entusiasta gli interpreti, più timidamente il regista. Applausi misti a qualche fischio e un sonoro buu per Simoni.

Luca Benvenuti

Credits: Giuliano Ghiraldini