Il ritratto impeccabile di una famiglia della Roma bene degli Anni ’70 nasconde proprio quello che ci si potrebbe aspettare: un matrimonio infelice tenuto in piedi dalle apparenze. Clara (Penélope Cruz), estroversa e vivace madre di tre figli, tenta in ogni modo di evadere da una realtà fatta di conformismo e ipocrisia, tra le scappatelle del marito e l’oppressione arcaica della famiglia patriarcale. A salvarla, nonostante la resistenza abbia i giorni contati, l’amore per i figli e, in particolare, l’empatia con Adriana, la maggiore, undicenne coriacea decisa ad affermare il suo sentirsi maschio.
Immensità, cercasi. Un obiettivo, un miraggio, qualcosa a cui tendere, eppure l’infinita grandezza evocata fin dal titolo dell’ultimo film di Emanuele Crialese rimane una preghiera inascoltata. Il regista di Nuovomondo e Terraferma sceglie di portare sul grande schermo una vicenda quantomai personale, elaborata per anni e ora matura al punto di essere condivisa con il pubblico. La storia di Adriana, infatti, è quella del cineasta Emanuele.
Se però l’elemento biografico de L’immensità che ha catalizzato l’interesse della stampa e del pubblico, l’identificazione del regista con la giovane protagonista, ha avuto il merito di accendere i riflettori su una tematica quantomai trascurata, quantomeno in Italia, lo stesso interesse non trova corrispondenza nell’evoluzione narrativa del film. Nonostante i riferimenti strettamente personali, infatti, una forte sensazione di déjà-vu permea la storia, le atmosfere e persino l’impianto visivo de L’immensità, quasi a “normalizzare” la visione stessa di Crialese.
Il ritratto che avrebbe dovuto coniugare memoria e finzione all’interno del nuovo viaggio del regista di origini siciliane nell’insondabile istituzione della famiglia, tra ricordi lontani ed esperienze che lasciano il segno, forse nel tentativo di mantenere un’impossibile giusta distanza, naufraga in una messa in scena che non riesce a emanciparsi da un cinema famigliare già visto e saccheggiato, cominciando – a partire dalla protagonista – da quello di Almodovar.
Non bastano gli inserti musicali in bianco e nero in cui madre e figlia entrano nel mondo della musica e della televisione indossando a turno i panni di Raffaella Carrà, Mina, Celentano, Patty Pravo e Don Backy, ad allargare il respiro di un film che purtroppo, in fondo, di emozionante e libero ha ben poco.