La scorsa settimana ha aperto le porte “L’impronta del reale”, un’esposizione dedicata a Talbot e, più in generale, a quel periodo di sperimentazione e scoperta che vide nascere la fotografia. Una forma di espressione artistica, ma anche di documentazione scientifica, che ha cambiato per sempre le regole dei giochi. Oggi la fotografia è un mezzo che diamo per scontato, è letteralmente nelle tasche di tutti. Ma all’epoca furono molteplici gli esperimenti e le difficoltà che incontrarono gli innovatori, per arrivare a produrre il primo dagherrotipo.
Siamo all’inizio dell’Ottocento: un periodo di confine in cui Illuminismo e Romanticismo si accavallano, predicando studi onnicomprensivi che lo stesso Talbot intraprese. Non è un caso, quindi, che anche i materiali utilizzati siano “di confine”: Talbot e i suoi colleghi realizzano infatti opere ibride, quali cianotipi, dagherrotipi, calotipi, silhouettes.
La fotografia è definita dal nostro protagonista come “l’arte di fissare le ombre”, e infatti la macchina per silhouettes (1790 ca) esposta è indicativa di questo interesse nei confronti della luce e della sua mancanza. In questo filone si colloca la serie “Contatti” (1971) di Claudio Abate, nella quale i contorni di figure umane sono impresse su di una superficie sensibile. Alois Auer, invece, si dedica principalmente alle stampe naturali per fini scientifici. Le stampe naturali esistevano già nel Medioevo, e vennero utilizzate nel Rinascimento anche da Leonardo Da Vinci, ma fu lo stesso Auer a perfezionare e rivoluzionare la tecnica.
Insomma, la prima metà dell’Ottocento vede definitivamente sorpassate xilografia, incisione e disegno, a favore di nuove, più moderne invenzioni: il procedimento litografico di Aloys Senefelder (1799), la galvanoplastica di Moritz Von Jacobi (1838), il cianotipo di John Herscher (1842). L’anno di svolta è sicuramente il 1939, quando Talbot presenta a Londra il suo “calotipo”: un’immagine in negativo che poteva essere ristampata infinte volte. Nello stesso anno, Daguerre presenta il suo “dagherrotipo”, caratterizzato da una qualità fino ad allora insperata, ma limitato dall’impossibilità di riprodurne delle copie.
Il concetto di positivo e negativo, come abbiamo visto, è stato introdotto proprio da Talbot, il quale spiegherà la sua teoria in un volume didattico intitolato “The Pencil of Nature”. In questo libro trovano posto sia spiegazioni teoriche che esempi pratici: vi sono tavole di oggetti allineati su scaffali, particolari umili di vita quotidiana, un’intera serie dedicata all’ex abbazia di Lacock.
Una corrispondenza singolare lega la figura di Talbot alla città di Modena: lo studioso inglese, infatti, intrattenne una relazione epistolare con il modenese Giovanni Battista Amici. La Biblioteca Estense conserva diciotto lettere in cui i due eruditi si confrontano, raccontando i loro progressi nella scienza nascente e inviandosi anche prove fotografiche. Amici fu successivamente nominato Astronomo granducale dal Granduca di Toscana Leopoldo II, che lo volle a Firenze nel 1831. Otto anni dopo, Amici convocò la Prima Riunione degli Scienziati Italiani. Un personaggio attivo e prolifico, del quale troviamo esposto il “microscopio catadriottico”, presentato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1815.
A partire dal 1845 si diffonde in Italia la tecnica del calotipo, usato soprattutto per documentare i Grand Tour, che stanno prendendo piede alla fine del secolo. Diverse voci si fanno interpreti di questa nuova necessità: Giacomo Caneva, Calvert Richard Jones, Stefano Lecchi – tutti ben documentati nella mostra in questione.
Talbot costituisce quindi un punto di partenza, ma vengono esposte opere di numerosi autori che hanno raccolto la sua lezione e che hanno richiamato in modo esplicito i suoi metodi e insegnamenti. La modernità del suo pensiero è confermata da questa continua reinterpretazione, operata negli anni Venti da Dadaismo e Surrealismo, negli anni Trenta dagli esperimenti di Luigi Veronesi, da Paolo Gioli, da Franco Vaccari, da “Le Verifiche” (1969-1972) di Ugo Mulas, una serie in cui celebra apertamente i grandi protagonisti della fotografia: Talbot, Alinari, Duchamp, Man Ray. Gli artisti moderni hanno dimostrato l’importanza e l’attualità delle lezioni del passato, non hanno dimenticato: e infatti Oliver Wendell Holmes definisce la fotografia come “uno specchio con la memoria”.
L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia.
Progetto espositivo a cura di Silvia Urbini
Con la collaborazione di Chiara Dall’Olio
Dal 12 Settembre 2020 al 10 Gennaio 2021
Galleria Estense – Largo Porta Sant’Agostino 337, Modena
Orari: da Martedì a Sabato 8.30-19.30. Domenica e festivi 10.00-18.00. Chiusura 25 dicembre, 1 gennaio.
Costo del biglietto: € 8 intero, € 6 ridotto, € 12 cumulativo Galleria + Mostra.
www.gallerie-estensi.beniculturali.it