Presentato fuori concorso, Acta Non Verba rappresenta la seconda prova dietro la macchina da presa del documentarista svizzero Yvann Yagchi, che porta sullo schermo la personalissima vicenda del padre morto suicida.

Il 6 Ottobre di cinque anni fa, il banchiere e imprenditore Michel Yangchi si tolse la vita nella sua casa di Ginevra approfittando dell’assenza dei familiari, in viaggio verso Bruxelles per assistere alla cerimonia di laurea del figlio Yvann. Le cause restano misteriose: c’è chi parla di minacce da parte di certi clienti russi, chi di uno scandalo legato a un ricatto sessuale o ancora di un’amante. Armato della sua strumentazione e molte domande, il regista proverà a fare chiarezza.

Non diversamente da Did You Wonder Who Fired the Gun?, l’opera in questione si propone di scavare senza remore nella storia familiare dell’autore per risalire alle origini di un atto cruento. Tuttavia, rispetto a quello di Wilkerson il documentario di Yagchi è molto più convenzionale: si basa su interviste a parenti e colleghi, fornisce – troppe – informazioni dettagliate quali date, luoghi, orari e dedica poco tempo alle riflessioni interiori. Il mezzo non viene reinventato o occultato: in piu di un’occasione Yagchi inquadra se stesso e la troupe nell’atto di filmare, vuoi per ribadire il proprio coinvolgimento, vuoi per provare che non c’è nulla di artefatto.

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Il regista riprende se stesso nell’apertura del film

Il montaggio lavora per opposizioni: alle dune e al mare di Abu Dhabi – città in cui Michel conobbe sua moglie e visse per diversi anni – si contrappongono campi lunghissimi delle Alpi Svizzere, che nella loro silenziosa imponenza custodiscono la verità che il fiume di parole degli intervistati non riesce a svelare.

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Fotogramma dalla sezione ad Abu Dhabi

La realtà non è l’unico piano contemplato e Yagchi inserisce anche due sequenze oniriche: la prima  materializza un suo incubo ricorrente nel quale l’intera famiglia giace morta sul tavolo da pranzo; la seconda – collocata in chiusura prima dei titoli di coda – consistente in una macabra visione in cui tutti sono riuniti attorno alla bara dell’estinto – una scelta che stona decisamente con la linearità e realismo del documentario.

Fotogramma dal momento onirico

In fin dei conti Yagchi non arriva ad avere in mano nulla di concreto. Chiedendo quà e là riesce a risalire all’identità dell’amante del padre – tale Inga Petersen – , dalla quale ha anche avuto un figlio, e riceve da un avvocato la conferma che il padre non era implicato in nessuno scandalo. Ma le vere motivazioni restano insondabili. E sarebbe stato strano il contrario, visto che il regista pretende di affrontare una questione così complessa in soli 65 minuti.

Alla fine, le uniche testimonianze da cui veramente si può trarre qualche informazione nuova sono quelle della madre e di un’amica di famiglia, sicché tutte le altre sembrano dei semplici riempitivi per far progredire a forza l’indagine. Anzi, non si tratta nemmeno di una vera indagine: Yagchi non si spinge mai troppo in là con le domande, sa insomma che i panni sporchi si lavano in famiglia e non vuole osare; ciononostante, tradisce il suo compiacimento nel parlare della sua personale tragedia, nel – fingere di – mettere a nudo quello che la maggior parte di noi giammai rivelerebbe pubblicamente.

In una sezione sommersa dai documentari, Acta Non Verba è piuttosto banale – oltre che vagamente pretenzioso – e non ha nulla per cui farsi notare.