Presentato in prima mondiale a Locarno nella sezione Concorso Internazionale, As boas maneiras è il secondo lungometraggio realizzato a quattro mani dai brasiliani Juliana Rojas e Marco Dutra, un’opera multiforme e difficilmente etichettabile in grado di suscitare le emozioni più diverse.
Clara – Isabél Zuaa –, infermiera dei sobborghi di San Paolo, trova impiego come donna di servizio presso la casa della benestante Ana – Marjorie Estiano –, prossima al parto ma abbandonata da tutti. L’intimità tra le due cresce progressivamente e l’affetto non tarda a tramutarsi in amore. Tuttavia alla gravidanza si accompagna uno strano sonnambulismo per cui Ana vaga in cerca di sangue nelle notti di luna piena: non sa infatti di essere incinta di un lupo mannaro, che raggiunto il completo sviluppo la uccide venendo alla luce. Nonostante l’immenso dolore, Clara deciderà di allevare il piccolo Joel – questo il nome che la madre voleva dargli – come fosse suo figlio, ma i geni mannari renderanno tutto più complicato.
Maggior merito della pellicola è la capacità di eludere le definizioni di genere e di passare dall’uno all’altro di pari passo col progredire della trama: l’incipit è quello di un film drammatico, con Clara in difficoltà economiche e la triste storia familiare di Ana – originale la scelta di impiegare disegni come in uno storyboard per il flashback in cui apprendiamo della relazione di Ana con il mannaro; si inserisce dunque la componente sentimentale, un crescendo – del tutto credibile – di tensione sessuale che porta le due a trascorrere la notte insieme – scena di sesso anche questa pregevole per il suo realismo. In concomitanza con l’erotismo fa capolino il thriller, le particolari voglie di Ana che la portano a mordere Clara prima e a cibarsi di un gatto poi; si arriva infine al vero e proprio splatter nella scena del “parto”, che vale una nota di merito al team degli effetti speciali e alla loro mostruosa creaturina. A sancire il passaggio alla seconda parte del film, caratterizzato da toni più spensierati e accesi, vi è infine un breve inserto musical.
In questa giostra la gestione dei tempi è ottima e la cesura tra i due archi principali è chiara: lo spettatore non si sente disorientato bensì accompagnato e il comparto tecnico lo agevola adeguandosi di volta in volta al cambio di registro. Questo è evidente soprattutto dall’attenzione per i colori: in un primo momento la fotografia è cupa, gioca coi chiaroscuri e le zone d’ombra dei volti, la cui espressività è portata all’estremo dalla regia claustrofobica; successivamente tutto si rischiara, la città non appare più minacciosa, i campi si allargano e le scene in esterni si moltiplicano.
A ogni modo, As boas maneiras cerca di fare troppe cose allo stesso tempo, producendo una disarmonia di cui non si ha sentore durante lo svolgimento – come si è detto, i raccordi sono calibrati alla perfezione – ma a visione conclusa. Il dramma diventa incubo e quindi favola, destando il sospetto che gli autori abbiano dato sfogo al proprio estro narrativo senza dare una direzione alla loro abile tessitura. In altre parole, non si capisce bene dove voglia andare a parare e le premesse autoriali della prima sezione si perdono nella seconda, sicché nell’insieme potrebbe risultarne soltanto un buon film di intrattenimento, anche se è chiaro che vi è qualcosa di più.