Presentato nella sezione Cineasti del Presente, Beach Rats è il secondo lungometraggio di Eliza Hittman – già regista nel 2013 di It Felt Like Love –, storia di smarrimento giovanile che le è valso il premio per la Miglior Regia al Sundance Film Festival di quest’anno.
Frankie – Harris Dikinson – trascorre le sue giornate tra droghe e alcol, intrattenendo frequentazioni poco raccomandabili: ad aspettarlo a casa un padre malato di cancro e una madre e una sorella con le quali a stento parla. Ad aggravare la situazione si aggiungono le incertezze sessuali, che da qualche tempo lo hanno portato a frequentare siti d’incontri per omosessuali. Incapace di darsi una risposta, inizierà a frequentare Simone – Madeleine Weinstein – rimanendo sempre più invischiato nella sua rete di bugie, arrivando fino a commettere un crimine per salvare la faccia.
Nonostante il riconoscimento ottenuto al Sundance, la regia della Hittman mostra alcune sbavature –soprattutto verso il finale – e a parte alcuni dettagli eloquenti ben riusciti – si pensi alle mani degli “amici” di Frankie che si torcono in preda al sospetto che questi sia gay – sembra voler colmare a ogni costo, e spesso ricorrendo a eccessi, quella che potrebbe essere una mancanza di personalità. Tra i meriti tecnici, va riconosciuto però quello della fotografia, curata da Hélène Louvart.

Per quanto concerne i temi affrontati, sulla carta non manca niente: un protagonista problematico – e interpretato a dovere dall’attore nelle sue poche, emblematiche sfaccettature – , una quotidianità straniante e ripetitiva, un nucleo familiare caratterizzato dall’incomunicabilità, e via di seguito. Ma è sul piano narrativo che gli spunti non si finalizzano.
I rapporti occasionali di Frankie, gli episodi più interessanti sia per l’approfondimento della psicologia di costui sia per il campionario umano che portano sullo schermo, restano in secondo piano rispetto ai passatempi da cattivo ragazzo, che già alla prima reiterazione perdono il loro impatto sullo spettatore. Non si capisce poi la scelta di trascurare l’avversione di Frankie per sua sorella e il di lei ragazzo, uno dei fattori destabilizzanti più interessanti in quanto lascia intendere una sorta di complesso verso la loro genuina – nel senso di non simulata – eterosessualità. Alla fine dell’ora e mezza abbondante della pellicola non si ha dunque né un’analisi esauriente dell’identità sessuale del personaggio principale né una descrizione abbastanza verisimile della vita dei “ragazzi di strada” di Brooklyn – quartiere dove la vicenda si consuma, con la consueta mitologia urbana annessa.

A conti fatti, Beach Rats non ha nulla di particolare, soprattutto se comparato a titoli coevi che, sempre restando nell’alveo del cinema indipendente, hanno saputo approfondire la questione generazionale con maggiore profondità senza glissare sulle trasgressioni che a quest’ultima si accompagnano. Nel suo piccolo, riesce comunque a non annoiare: un film che parla di ragazzi che non vanno da nessuna parte, e che a sua volta non va da nessuna parte.