Dopo l’esordio avvenuto nel 2012 con Miryoku no ningen, Ninomiya Ryutaro debutta a Locarno in veste di factotum attore, produttore, montatore, sceneggiatore, regista – con Edaha no koto, ritratto giovanile sobrio e realistico presentato nella sezione Cineasti del Presente.

Ryutaro – interpretato dallo stesso Ninomiya – ha 27 anni e un lavoro senza sbocchi in un’officina, che soffoca la sua creatività di scrittore. Datosi all’alcol, un giorno riceve la chiamata dell’amico Yusuke che lo avverte dell’imminente morte per malattia della madre Ryuko. Pur non avendo con questa legami di sangue, Ryutaro decide di passarla a trovare e le si affeziona, mentre la sua vita precipita sempre più nel nulla.

Edaha no koto

Il film inizia senza titoli di testa o convenevoli. Non diversamente da quanto visto nel coreano Cho-haeng, lo scopo è quello di offrire uno spaccato il più fedele possibile dello spaesamento di una generazione: ritroviamo pertanto l’impiego di camera a spalla e inquadrature statiche – curiosa analogia tra le due opere è la sequenza in auto, che adotta il medesimo angolo di ripresa alle spalle dei sedili con camera fissa. Ma rispetto a Kim Dae-hwan Ninomiya si concede maggiore libertà di movimento, segue il personaggio principale con fluidità senza risultare invasivo per poi collocare l’obiettivo all’altezza del piano del tavolo durante i momenti conviviali. Edaha no koto – che di base indica il fogliame caduto a terra, e per traslato i dettagli irrilevanti, le cose di poco conto – gioca appunto sull’opposizione tra il vuoto concettuale dei dialoghi – spesso in interni – e la pregnanza del silenzio tormentato del protagonista, che vaga ridefinendo gli spazi della città alla ricerca di una méta.

Edaha no koto

L’alter ego filmico di Ninomiya ricorda i personaggi di Takeshi «Beat» Kitano, sia a livello di mimica – emblematica la sua camminata – che di carattere – il duro taciturno – , ma l’universo in cui si muove è ben diverso. Non c’è spazio per il dramma, niente storie di yakuza, niente amore: il protagonista è sopraffatto dalla superficialità degli esseri umani che lo circondano tanto da perdere ogni capacità di reazione, trovando al più un rifugio nella lettura. Tutti i rituali che scandiscono la vita in società – il pasto, la frequentazione degli amici, il rapporto sessuale – sono esautorati.

Edaha no koto

Nella sua frustrazione artistica e incapacità di relazionarsi coi propri simili Ryutaro è una sorta di Yōzō del terzo millennio, e alla pari del personaggio del romanzo di Dazai il barlume di speranza rappresentato dalla figura femminile di Ryuko è destinato a estinguersi. Come ex abrupto era cominciata, così la pellicola finisce, con una cesura netta appena iniziato il colloquio col patrigno, anche lui alcolista e lassista: non c’è bisogno di un epilogo, poiché sappiamo già che la situazione non cambierà, né per Ryutaro che dice di voler tornare a scrivere, né per la cameriera con cui intrattiene una relazione, né per i colleghi di officina che si ripromettono di cambiare lavoro, ciascuno vittima della propria impotenza.

Nonostante la debole struttura narrativa e una certa prolissità, Edaha no koto è un’opera che rivela il potenziale dell’autore – soprattutto per quanto riguarda la prestazione attoriale – , perfettamente inserito nella tradizione cinematografica del suo Paese per il modo in cui sa tradurre in immagini il vuoto – in questo caso esistenziale.