Presentato in concorso, Freiheit segna il ritorno al lungometraggio del giovane Jan Speckenback, che propone un altro caso di sparizione in seno alla famiglia questa volta mettendosi nei panni di una madre non più così giovane e della sua sete di «libertà».freiheit

Una donna erra per le strade di Vienna e ha un rapporto sessuale con uno sconosciuto: il suo vero nome è NoraJohanna Wokalek – ma si guarda bene dal rivelarlo, quasi fosse braccata da qualcosa o qualcuno. Di lì a poco scopriamo infatti che Philip – interpretato da Hans-Jochen Wagner, di cui si segnala la prestazione –, l’avvocato di Berlino che avevamo visto in apertura, altri non è che suo marito e che da diverso tempo sta cercando di rintracciarla, ma la fuga non accenna ad arrestarsi e anzi prosegue sino in Slovacchia, fino a che un appello televisivo non metterà a rischio la nuova identità che Nora si è costruita.

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In merito alla scelta del soggetto, che percorre un iter già visto nella sua pellicola d’esordio Reported Missing (2012) – incentrato sulla sparizione di una figlia – Speckenback ha dichiarato:

«L’atto di sparire presenta due facce: da un lato c’è la tentazione, ma dall’altro la brutalità. [Parlando di Nora] Un forte impulso la sospinge, qualcosa di inesplicabile a cui non può resistere. Il suo desiderio – o dipendenza? – di libertà lascia gli altri incatenati alle proprie incertezze. La libertà dell’uno si traduce nella prigionia dell’altro».

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Appunto la natura ambivalente della libertà costituisce il fulcro della riflessione. Le due linee narrative principali, l’una di Nora alle prese con la sua nuova vita e l’altra di Philip con i due figli che da lui sempre più si allontanano, si frammentano a loro volta in unità minori – non sempre funzionali e per certi versi non chiuse a dovere – che mostrano una simmetria nella ricerca di autodeterminazione: la prima è venuta meno alle proprie responsabilità per dar adito a un impulso – la cui eziologia resta ambigua fino alla fine – , ma finisce per legare con una ballerina slovacca che le ricorda terribilmente la sua esistenza precedente; il secondo a sua volta, in mancanza di un sostegno si è stancato di mantenere la facciata di padre esemplare e marito fedele, concedendosi una storia con una collega e riducendosi a raccontare i suoi problemi a un uomo in coma per ovviare all’impossibilità di comunicare.

Il tempo diegetico oscilla continuamente tra passato e presente, alternando diversi registri tecnici: le sequenze antecedenti la scomparsa di Nora fanno uso di estratti pseudo-amatoriali, video-memorie del cellulare di Philip che mostrano come questa non desse alcun segno apparente di disagio. Memorabile la sezione della cena con due ospiti inaspettati, perfetto quadretto borghese scritto in maniera brillante, caratterizzato dal jumpcut e da una mdp a mano che sorprende con improvvisi zoom, quasi adottasse il punto di vista di un commensale aggiunto intento a seguire con trasporto la conversazione.

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A unificare le due dimensioni è la scena del ragno, che provvede al contempo la chiave di lettura globale. Mentre Nora è a cena ospite della sua amica slovacca, i bambini di questa sono attirati da un ragno inerpicantesi sulla parete, che il padre intrappola tra un foglio e un bicchiere: ne deriverà uno shock per la protagonista, che rivivrà in un flashback verso il finale un ricordo analogo. La reazione di fatto non è spropositata: a livello inconscio, Nora si identifica in quella piccola creatura, intrappolata in uno spazio castrante per la gioia dei familiari: si tratta forse del preciso istante dell’epifania, del punto di frattura che l’ha portata alla drastica decisione.

Le scelte discutibili comunque non mancano: il montaggio alternato che propone i volti dei protagonisti su cui vengono proiettate delle immagini alludenti al reciproco rancore stride con il tono globale dell’opera, che fino ad allora pareva voler fare a meno di derive surreali o intellettualistiche. La colonna sonora, poi, è fuorviante e invece di accentuare la situazione di angoscia esistenziale distrae e non dota di pregnanza alcune sequenze cui unico scopo sembra quello di consentire l’inserimento della traccia.

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Esempio di immagine proiettata, in questo caso su un elemento della scenografia

Ancor peggio, Speckenbach lascia il mosaico incompleto: la sottotrama dell’assistito xenofobo di Philip – la cui vittima giace in coma e funge da confidente per quest’ultimo -, le relazioni intessute da Nora, la questione dei figli, sono tutti aspetti persi per strada. Alla fine ne risulteranno due ritratti affascinanti, ma quello che Freiheit si proponeva di indagare – la libertà e la prigionia – resta troppo in secondo piano e poco approfondito.