Secondo documentario presentato nella sezione del concorso internazionale di questo 70° Locarno Festival, Good Luck è l’ultima fatica del documentarista statunitense Ben Russell. Girato in due miniere tanto lontane quanto diverse (una miniera sotterranea di rame in Serbia e una miniera d’oro a cielo aperto in Suriname) il documentario racconta la vita di tutti i giorni dei due gruppi di lavoratori, indagando così su un mondo professionale proverbiale per le sue dure condizioni ma spesso dimenticato dai più.
La particolarità dell’opera di Russell sta nell’accostare a scene scritte e pianificate con i personaggi ritratti (pratica in realtà molto comune nella maggior parte dei documentari, anche in quelli che sembrano tendere di più a un certo realismo) a semplici e lunghissime inquadrature delle operazioni di estrazione. In questo modo lo spettatore vedrà nella stessa galleria sotterranea prima la lunghissima (e rumorosissima) scena della trapanazione di una parete da parte dei minatori, per poi vedere nello stesso luogo un operaio che balla e suona la fisarmonica nella surreale e sognante atmosfera sotterranea del suo luogo di lavoro. Anche per i lavoratori della cava a cielo aperto in Suriname vale lo stesso meccanismo, con sequenze in cui i cercatori scavano per interminabili minuti in cerca di almeno una minuscola pietruzza e scene conviviali di canti e balli (una su tutte la canzone sull’oro improvvisata dai ragazzi che va a chiudere il documentario).
A queste lunghe sequenze poi si alternano primi piani dei minatori e interviste collettive in cui a turno il documentarista chiede a ciascun lavoratore cosa sta cercando, cosa si aspetta di trovare, se ha paura della morte. Interessante anche il modo in cui il documentario è stato diviso, ovvero in due blocchi ambientati in due luoghi diversi in tutto, dalle condizioni ai metodi lavoro. Se infatti i primi sono minatori regolarmente assunti dalla miniera per fare un lavoro che però a lungo andare potrà compromettere seriamente la loro salute, gli altri lavorano a cottimo, nel rischio di passare un’intera giornata di lavoro alla ricerca dell’oro senza trovarne nemmeno un grammo.
Visto da questo punto di vista, quel “buona fortuna” del titolo diventa un augurio dal duplice significato, di uscire sani e salvi dal turno in miniera per gli uni e di trovare abbastanza oro per poter sfamare se stessi e la propria famiglia per gli altri. A sottolineare questa doppia valenza del titolo Good Luck, la scritta che chiude il film recitando il titolo in tre lingue (serbo, inglese e sranan tongo, un dialetto del Suriname).
Per quanto documenti con una certa precisione le condizioni di lavoro di entrambi i gruppi, Good Luck non vuole essere per forza un film di denuncia contro il mondo dell’estrazione mineraria in quanto non ne indaga i meccanismi fino in fondo ma si limita a presentarsi come un tributo ai suoi coraggiosi e volenterosi protagonisti.