Presentato fuori concorso a poca distanza dalla conclusione del festival, Nazidanie è lo stravagante documentario frutto della mente di Boris Yukhananov e Aleksandr Shein, che analizza con acuta ironia il fenomeno calcistico attraverso le gesta di uno dei suoi protagonisti: Zinedine “Zizou” Zidane.
Cresciuto nel quartiere popolare di La Castellane alla periferia di Marsiglia, Zidane rappresenta per la Francia non soltanto un eroe sportivo ma anche la prova vivente che i sogni possono diventare realtà. All’indomani degli Europei del 2004, il beniamino del popolo annuncia il suo ritiro, ma nemmeno due anni trascorrono che ci ripensa e torna in campo per la sfida dei mondiali. L’improvviso dietrofront gli costerà caro, portandolo a scontrarsi con la sua nemesi: Marco Materazzi.
Con il solo accompagnamento della voce narrante e della colonna sonora a cura di Alexander Belousov, Nazidanie propone un collage di filmati televisivi – per i quali è adottato il formato 4:3, quasi stessimo guardando un piccolo televisore sprofondato nell’oscurità dello schermo cinematografico – che narra l’ascesa di questo astro del calcio e del suo naturale antagonista. In russo nazidanie significa «edificazione», e appunto di edificazione del mito il film parla: con un taglio sociologico, per non dire talvolta antropologico, Yukhananov e Ilya Permyakov – accreditati per la sceneggiatura e il montaggio – provvedono una personalissima lettura dei processi mediali che intervengono nelle creazione di un idolo.
Venuto su dal niente, il franco-algerino poté assurgere a divinità in quanto incarnazione delle speranze della massa di immigrati di seconda generazione e, più in generale, di un popolo che aveva bisogno di una sana dose di nazionalismo sportivo alla luce del digiuno di vittorie in tale ambito. Il ritiro innescò così un funerale mediatico, che richiedeva tempo per essere metabolizzato. E come è difficile accettare la morte di un dio, altrettanto difficile è accettarne la resurrezione: alla violazione di tale legge non scritta gli autori attribuiscono il travagliato reinserimento in nazionale, tra occasioni mancate e papere. A complicare il tutto giunse infine il difensore italiano: e a ben guardare le rispettive carriere, vi sarebbero dei segni – sorta di interpretazione fideistica – prefiguranti il sanguinoso confronto consumatosi nell’Olympiastadion. Come in una moderna Iliade, sarebbe stato il fato a decidere a chi consegnare la palma.
Per quanto semplice nella realizzazione, Nazidanie è in grado di regalare qualche sorpresa, in primo luogo grazie alle sue animazioni: trattasi di vere e proprie sequenze animate o ottenute tramite intervento su pellicola, in cui i calciatori sono trasfigurati con sembianze animali oppure percorrono un tortuoso sentiero infernale. L’ironia deriva inoltre dall’irresistibile sarcasmo del narratore e dalla giustapposizione delle immagini, prova di un attento lavoro di montaggio.
Ciononostante, il documentario ha una durata spropositata considerato quello che c’è da dire: la satira infatti si smorza, si banalizza, gli spunti vengono a mancare e si finisce per ribadire sempre gli stessi concetti. Anche la funzione delle immagini cambia: l’uso che se ne fa è via via meno intelligente, a servire lo scopo dell’intrattenimento piuttosto che della riflessione. Un prodotto certo innovativo e che si fa riconoscere all’interno della selezione, ma troppo ambizioso.