Il Locarno Festival 2017 non è solo Piazza Grande, il concorso o la SIC, ma molto altro. Un esempio è la sezione Historie(s) du cinèma, che quest’anno premia Todd Haynes con il Pardo d’Onore. Ad accompagnare questo premio vi saranno due proiezioni, Poison, il film d’esordio dell’autore americano che debuttó proprio qui a Locarno nel 1991, e la sua ultima opera, Wonderstruck, presentata pochi mesi fa a Cannes in concorso per la Palma d’oro. Wonderstruck è la trasposizione del romanzo omonimo di Brian Selznick (autore anche dell’adattamento), già fattosi notare nel panorama cinematografico hollywoodiano per Hugo Cabret di Martin Scorsese nel 2011, a sua volto ispirato a La straordinaria invenzione di Hugo Cabret dello stesso Selznick.

Olivier Assayas consegna il Pardo d’Onore a Todd Haynes – Copyright: @ Locarno Festival

A cavallo di un periodo di mezzo secolo, si svolgono due storie misteriosamente collegate fra loro. Nel 1927 Rose, ragazzinasorda dalla nascita, scappa dalla sua casa del New Jersey per incontrare almeno una volta il proprio idolo Lillian Mayhew, mentre nel 1957 Ben, che ha perso l’udito in un incidente fa la stessa cosa, sconvolto dalla morte della madre, per trovare risposte dal padre che non ha mai visto.

Il film, dunque, come intuibile si sdoppia in due storyline parallele, che Haynes preferisce diversificare a livello stilistico per giocare maggiormente su colori e atsmofere. La storia di Rose è in un b/n classico, molto illuminato, e, come i film della sua attrice preferita (interpretata da una poco presente ma sempre ottima Julianne Moore), senza sonoro. La storia di Ben è invece colorata e pittoresca, con un uso sempre sottotono dell’elemento musicale, per calare lo spettatore in un mondo sordo ma non troppo, alcuni suoni si sentono, altri no. La ragione di questa netta separazione sta innanzitutto nella varietà inseguita dal regista, che tenta di confezionare di fatto un film di formazione, seguendo l’archetipo del viaggio rivelatore. Lesina sul sonoro nella narrazione delle singole parti ma non si fa scrupoli ad usarlo in maniera insistente quando si tratta di passare da una linea temporale all’altra. Usa la fotografia giocando sui contrasti e sui chiaroscuri, alternando ampi e liberi movimenti di macchina a sequenze montate in modo estremamente serrato. Nulla di nuovo, senza dubbio, ma comunque pregevole.

Proseguendo con il film, inizia ad apparire evidente che è la storyline di Ben a essere portante, mentre quella di Rose si rivela accessoria. Haynes cerca di non scivolare tenendosi in equilibrio tra il ’27 e il ’77 e ce la fa per buona parte dell’opera, ma nella seconda metà il minutaggio dedicato a Rose inizia a essere eccessivo perché essenzialmente foriero di scene ripetitive, mentre la linea narrativa principale soffre un po’ di queste continue interruzioni tutto fuorché necessarie. Il lavoro del regista americano è comunque sempre calcolato, e nella sua rigidità riesce lo stesso a evitare di trasmettere freddezza, concedendosi spesso giochi di immagini, sfruttando le similitudini o riprendendo con un montaggio a specchio luoghi o momenti.

In conclusione, Haynes confeziona uno splendido film per ragazzi, giocoso ma non confusionario, capace di frazionarsi, nella sua costruzione piramidale, in tanti piccoli micro-episodi che offrono simpatiche lezioncine di vita o suggestioni, dal concetto del “vivere in un museo” ai siparietti quasi buddy. Questa struttura comunque non lede l’unità complessivo di Wonderstruck, che riesce a trovare nella soluzionale finale un pettine che compatta tutti i nodi sparsi e li slega con facilità, puntando su una sequenza conclusiva animata che mette assieme il mistero del film, ovvero il padre di Ben, con la ricostruzione fisica dello stesso passato da parte di quest’ultimo, affidando inoltre il ruolo di narratrice per lo spiegone comunque evocativo a un’intensa Julianne Moore.