A Venezia 74 va ancora in scena l’immigrazione. In un bel film di Andrea Segre. Corrado (Paolo Pierobon) lavora al Ministero degli Interni, occupandosi principalmente di immigrazione. E’ per questo che viene inviato a Tripoli, nella Libia di Gheddafi: per avere un dialogo con gli ufficiali del Paese, in risposta ai continui sbarchi degli immigrati sulle coste italiane. Un viaggio che risveglierà in Corrado una nuova coscienza.
E, con una sinossi così riassunta, L’ordine delle cose potrebbe sembrare il film facilone, di sinistra che piace tanto a un certo tipo di studenti universitari, con la parabola del funzionario di destra che si commuove e cambia orientamento. E in parte è così: nel messaggio, ma non nel modo di veicolarlo (decisamente intelligente).
Le visite nei centri di detenzione dei rifugiati, le condizioni terribili in cui questi versano, l’incontro con Swada, una donna somala. Corrado: uomo complesso, dalle tante sfaccettature e non più il funzionario che conoscevamo all’inizio in grado di dialogare solo con i numeri. In Libia esistono le persone, gli immigrati sono persone. E’ una frase reale.
E, insieme alla sua, Corrado sembra svegliare anche la nostra, di coscienza. Dolcemente. E al plurale: Segre parla alla politica, parla alle istituzioni. E lo fa con uno sguardo puntato fisso sugli uomini. Così, la bellezza del cinema lascia spazio alla concretezza della vita di queste persone. Ma sempre in maniera dolce (e intelligente).