Debutto cinematografico della pop star finlandese Anna Eriksson, M è un delirante quanto sconclusionato video saggio sulle pulsioni animalesche dell’uomo, che muovendosi tra metafore di sapore vagamente femminista e avanguardia da discount spera di indignare lo spettatore. Spettatore che, a proiezione conclusa, si scopre del tutto indifferente a quanto appena visto.

Ragiona sul binomio più antico del mondo Eriksson: thanatos ed eros. E quale astro della pop culture meglio di Marilyn Monroe potrebbe incarnare questa doppia tensione? Icona sexy incastonata nel firmamento delle stelle di Hollywood, la sua morte violenta in circostanze misteriose fu un coronamento del tutto inappropriato per una vita passata sotto i riflettori.

M Anna Eriksson

Frutto di ben 4 anni (2013-2017) di riprese in location agli angoli opposti del mondo (Portogallo, Messico, Finlandia) con attori non professionisti, M compie il solo sforzo di suggerire qualche parallelo, proponendo dei nuclei tematici con dei “personaggi” fissi: ovviamente la nostra Marilyn, poi una sorta di sacerdote pagano, uno psicologo tormentato e una vecchia che fuma. Tra urla, stupri simulati, operazioni di chirurgia sottocutanea e inspiegabili cambi di scena – si pensi alla svolta western verso il finale – la regista, che di questo suo primo film ha curato praticamente ogni comparto – sceneggiatura, montaggio, sound design, color correction e chi più ne ha più ne metta –, non si sforza nemmeno di dare coerenza al suo manifesto.

Alla fine i nodi della “riflessione” – le virgolette sono d’obbligo – suggeriti dal montaggio associativo sono sempre quelli: la donna come bene di consumo e la vita tra le mura domestiche come morte interiore, con strane forze – il rito del sacerdote, la presenza rassicurante dello psicologo – che a loro modo tentano di imbrigliarla. Questo è il massimo sforzo interpretativo che ci sentiamo di fare, ed è già troppo considerando quello che Eriksson ci costringe a subire per ben 94 minuti: più video arte che cinema, arte di certo non è. È anzi puro video, “io vedo”, stimolazione oculare della più infima lega che non ricerca nemmeno il piacere – a quel punto qualche concessione la si sarebbe potuta fare – ma anzi il disgusto. Un approccio che le arti visive pensavamo si fossero lasciate alle spalle diversi secoli fa e che spiega la compresenza di scatologia, genitali e mutilazioni, facendosi aiutare, come se non fosse abbastanza, da un close up esagerato e da un comparto sonoro da telenovela.

M Anna Eriksson

Eriksson sembra aver concepito la sua pellicola come uno scherzo, come la summa di tutte quelle obiezioni di forma e contenuto che il pubblico generalista suole rivolgere al cinema d’autore – si intravvede ogni tanto un prestito da Lynch – condensandole in un unico polpettone. Sfoggio intellettualistico partito male e finito peggio, M è il grande mistero di questa edizione della SIC, la qualità delle cui pellicole negli ultimi anni si è sempre attestata su un certo livello. Vi proponiamo qui la recensione del film omonimo incontrato a Locarno71, giusto per evitare che questo M possa sovrapporsi all’altro, di tutt’altro tenore e spessore.