Presentato nella sezione Orizzonti, Malaria è l’ultimo lungometraggio del regista iraniano Parviz Shahbari, in cui il reportage girato con la camera del telefonino dalla giovane Hanna, oltre a creare una sorta di mise en abyme, rappresenta un’occasione per scrutare con occhio indagatore la Teheran dei giorni nostri.
La cornice narrativa sembra essere quella di un’indagine di polizia, in cui gli agenti della scientifica, analizzando il cellulare del fidanzato della protagonista, rinvengono i video dell’avventura degli innamorati, i cui retroscena sono rivelati allo spettatore in quello che costituisce il livello temporale principale del film. Onde ovviare al divieto imposto dalle rispettive famiglie, Hanna (Saghar Ghanaat) e Murry (Saed Soheili) spacciano la loro fuga a Teheran per un rapimento: sprovvisti di mezzi, sono portati a destinazione da Azi (Azarakhsh Farahani), un musicista membro del complesso Malaria.
Giunti nella capitale, i due finiscono nei guai con la legge ma ottengono di nuovo l’aiuto di Azi, che riuscirà persino a tirare Murry fuori di galera: l’amicizia tra i tre s’arricchisce di esperienze finché, a distanza di un paio di giorni, il padre di Hanna si presenta sulla soglia di casa di Azi convinto che questi sia il rapitore. La coppia si risolverà infine a fuggire, tentando di depistare le ricerche con un ennesimo video.
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In primo luogo, lascia disorientati il rapidissimo voltafaccia di Murry prima e di Hanna poi, i quali non avranno remore ad abbandonare in balìa della polizia Azi, l’uomo che aveva condiviso con loro ogni cosa, quando sarà accusato formalmente di sequestro di persona. Inoltre, nonostante la premessa innovativa, il film pare non avere una meta, quasi che il regista, rimasto folgorato dalla trovata degli inserti amatoriali, avesse perso di vista la storia che voleva raccontare: vi è infatti un numero rilevante di dialoghi e situazioni pretestuosi cui unico fine è giustificare l’utilizzo del cellulare o di un altro dispositivo elettronico. I filmati realizzati in tal modo non costituiscono nemmeno una vera e propria storia dentro la storia, dal momento che gli spaccati di vita quotidiana non contribuiscono ad approfondire alcun personaggio risultando fini a se stessi.
L’opera manca infine di mordente nella critica sociale, tratto distintivo di altre pellicole iraniane giunte quest’anno alla Mostra: eccezion fatta per qualche spunto all’inizio, quando Hanna e Murry si vedono negata la stanza in albergo poiché sprovvisti della lettera di delibera della Polizia Morale, il film si incanta nella contemplazione della vita notturna e delle strade di Teheran senza scendere nel suo ventre oscuro. Unico elemento che rende sopportabile l’opera è il ritmo incalzante della narrazione, articolata in divertenti microepisodi che però non si capisce dove vadano a parare. Semplicemente, un film che lascia il tempo che trova.