Nella Firenze del XIV secolo un gruppo di giovani cerca rifugio in campagna per sfuggire alla cruda realtà della peste. Nel tentativo di condurre una vita quanto più ordinaria possibile, si intratterranno con delle brevi novelle.

Quattro di queste ci sono state proposte dai fratelli Taviani in una rivisitazione postromantica del Decameron di Boccaccio.

Il fulcro delle vicende è senza dubbio l’amore, che compare in tutte le sue sfumature: dalla più nobile alla più carnale.

Un tema, quello amoroso, messo in scena da noti volti del cinema italiano, affiancati da figure esordienti. Il primo attore ad accoglierci è Riccardo Scamarcio, con un’interpretazione oltremodo drammatica, nelle vesti di Messer Gentil De’ Carisendi: un uomo innamorato di una giovane donna sposata.

La migliore performance è senza dubbio quella di Kim Rossi Stuart, che si cala nel ruolo di Calandrino, il paesano più sciocco, regalandoci un’esibizione “disgustosamente” riuscita.

Nonostante l’interferenza di alcuni anacronismi, l’episodio di Tancredi e Ghismunda è inscenato opportunamente, anche grazie alla presenza di Lello Arena nei panni di un padre possessivo.

L’ultima e struggente rappresentazione è quella di Federigo degli Alberighi, giovane nobile che, invaghitosi di una donna, scialacqua ogni suo bene ad eccezione di un caro falcone.

La scenografia non delude il pubblico più esigente, immortalando le vedute mozzafiato delle campagne toscane e laziali.

La sceneggiatura presenta qualche défaillance, ma tutto sommato il film si mantiene fedele agli scritti originali. In particolare ne rileva alcuni aspetti principali, come la forte personalità delle donne, tipici personaggi boccacciani che si distinguono per intelletto e audacia.

Particolare cura è stata dedicata ai costumi che risultano coerenti con l’ambientazione dell’epoca. Infine, la colonna sonora con musiche d’autore (Verdi, Puccini, Rossini) completa il quadro positivo del film.