VENEZIA – Reduce dalla tavola rotonda Il Teatro di cittadinanza. Un’esperienza partecipata a Venezia ospitato dalla Fondazione Querini Stampalia il 17 maggio 2022, incontriamo il regista veneziano Mattia Berto per fare il punto sul suo percorso teatrale.
Dopo Teatro in bottega (qui un resoconto), è impegnato da qualche anno nel Teatro di cittadinanza. Da cosa nasce questa nuova esperienza e come si differenzia dalla prima?
Mattia Berto: Il Teatro di cittadinanza vede la luce con i laboratori teatrali proposti dal Teatro Stabile del Veneto e prosegue il mio impegno nel mappare Venezia. Se con Teatro in bottega lavoravo con attività produttive locali al fine di valorizzarne l’inserimento nel tessuto sociale, adesso creo sinergie tra i cittadini e la città stessa. Partendo da ispirazioni generalmente classiche come le metamorfosi, la tempesta, le Mille e una notte, faccio raccontare ai performers le loro storie di vita che, fuse assieme, diventano materiale drammaturgico. Con La città diventa verde abbiamo animato lo scorso maggio i luoghi della nostra Venezia e lo abbiamo fatto con i personaggi di un testo senza tempo, Le Metamorfosi di Ovidio. Ci siamo interrogati sugli aspetti narcisistici della nostra città e ci siamo riflessi nello specchio della sua bellezza.

Identikit del performer del Teatro di cittadinanza.
MB: Non esiste. I partecipanti vanno dai 18 agli 80 anni e provengono dai contesti più divsparati, ma sono accomunati dall’amore per la città, dal desiderio di partecipare a questo processo di rigenerazione urbana che il teatro di cittadinanza porta avanti. Ho notato anche una diversa risposta a seconda di dove organizzo i laboratori. A Treviso hanno dimostrato interesse giovani “foresti”, arrivati lì da altrove. A Vicenza, invece, gli autoctoni hanno risposto generosamente.
Teatro di resistenza o di resilienza?
MB: Entrambe. Il Teatro di cittadinanza è nato a Venezia centro storico dove ormai vivono pochi abitanti, sopraffatti dal turismo mordi e fuggi. E’ resiliente perché vuole resistere ai cambiamenti, ma lo fa in maniera curiosa perché le trasformazioni mi incuriosiscono. Resiste perché parte dal basso e ha delle Istituzioni che ci credono e lo incoraggiano. C’è chi è venuto a vivere a Venezia dopo un mio laboratorio, per me questa è la vera rigenerazione!

Quindi il Teatro di cittadinanza si schiera politicamente?
MB: No. Questo teatro non promuove una politica di partito, ma la fa nel senso della polis. Getta indubbiamente uno sguardo critico su molti problemi attuali, essendo creazione artistica che risponde alle emergenze del momento. Vede, il “fenomeno Berto” è il provare a collegare dei tasselli per comporre un mosaico, una sorta di missione che mi pongo per far sì che l’individuo possa essere reciprocamente nutrimento sia per la città che per la collettività.
Quali sono le urgenze che come uomo di teatro intenderebbe realizzare nel prossimo futuro?
MB: Avere a Venezia uno spazio fisico che diventi la casa del Teatro di cittadinanza, un luogo per la comunità, una sorta di laboratorio cittadino sempre aperto, dove fare base. Iniziare, poi, un lavoro con gli studenti che abitano la città a tempo, come gli universitari ad esempio, perché mi interessa approfondire il loro punto di vista per comprendere come ci si sente quando si arriva qui.
Ho l’impressione, a volte, che nei suoi lavori si diverta a rendere buffi i performers. Sbaglio?
MB: No, è così. La performance ha un linguaggio diverso dal teatro tradizionale in quanto permette di lavorare con modelli meno rigidi. I miei lavori recano intrinseco il senso dell’ironia che mi è proprio e i performers recepiscono questa dimensione ludica che è tipica di Venezia, un qualcosa che non ho colto invece in altre città. Mi interessa il continuo inseguire una costante voglia di cogliere la vita negli aspetti più assurdi.

Pensa che tornerà a lavorare con attori professionisti?
MB: Al momento non è una priorità. Sentivo il bisogno di trovare un senso forte nel mio fare teatro. Nel momento storico attuale bisogna tornare a essere comunità e a lavorare con i non professionisti. Ciò è interessante e al contempo pericoloso perché loro sono più generosi degli attori. Certo che fornisco loro delle basi tecniche, tanto che chi mi segue dagli esordi ha ormai acquisito un bagaglio tecnico notevole, ma l’intento non è la formazione di nuovi Duse o Gassman bensì tenere a mente lo sguardo critico sul presente e la dimensione del gioco. Al prossimo battito di cuore forse farò il regista di teatro, per ora sto bene così.
Luca Benvenuti