In sala solo il 15, 16 e 17 Ottobre secondo la formula brevettata, ad aprire la stagione Nexo Anime 2018/19 sarà Mirai di Mamoru Hosoda, che forte del battesimo nella Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e della vittoria a Sitges mette a tacere gli allarmismi in merito al letargo dell’animazione nipponica d’autore, adottando una grammatica meno rigida che però scopre il fianco di un racconto dalle molte crepe alle riserve del pubblico.

Dopo i primi quattro anni di vita da principino, Kun – la voce gliela presta Moka Kamishiraishi – si trova a dover dividere le attenzioni di mamma Kumiko Asō – e papàGen Hoshino, lo sfortunato Koji di Why Don’t You Play In Hell? (2013) di Sion Sono – con la sorellina appena nata, MiraiHaru Kuroki, ormai una habitué dopo i doppiaggi in Ame e Yuki i bambini lupo (2012) e The Boy and the Beast (2015). Dispetti e capricci sono all’ordine del giorno, ma con la mediazione di alcuni aiutanti d’eccezione e una buona dose d’immaginazione l’amore tra fratello e sorella non potrà che sbocciare.

Mirai (2018)

Significa “futuro” il nome della nostra eroina, e proprio dal futuro questa tenderà la mano per aiutare il primogenito a farsi una ragione del nuovo equilibrio domestico. Ai paradossi temporali Hosoda ci aveva abituati sin da La ragazza che saltava nel tempo (2006), ma a differenza di quest’ultimo Mirai no mirai – questo il titolo originale, abbreviato dalla distribuzione italiana – non ricerca una coerenza narrativa cristallina, con un montaggio caratterizzato da brusche accelerazioni che sfaldano il piano del presente e demandando ai riferimenti stagionali la funzione di pietre miliari. Alla bisogna, Kun viene catapultato in un’altra epoca secondo le ramificazioni del proprio albero genealogico: un espediente che consente a Hosoda di adottare uno sguardo più ampio spingendosi fino al Giappone all’indomani della guerra nella figura del bisnonno, con le implicazioni che questa scelta comporta.

Per converso, lo spazio fisico è estremamente circoscritto. La vicenda si consuma quasi per intero in interni, e che interni: il papà di Kun è architetto e il loro nido è un labirinto open space di vetrate, giardini pensili e scalini che il regista valorizza giocando con la prospettiva, ora collocando la cinepresa ad altezza bambino come un discepolo di Kiarostami, ora adottando il punto di vista dei giocattoli sparpagliati sul pavimento; il mondo fuori della porta di casa appare sensibilmente meno invitante, a tratti persino sinistro, correlativo oggettivo dell’interiorità del piccolo che, com’è naturale a quell’età, concepisce il focolare come unico – e fino a prova contraria migliore – mondo possibile.

Mirai (2018)

Il cinema di Hosoda è così, localizzato ai limiti del provincialismo nelle coordinate spaziali ma globale nelle riflessioni, una consapevolezza che l’autore segnala attraverso le panoramiche dal realismo fotografico che abbracciano la città: ben più che semplici establishing shot, ci sta dicendo che sì, il campo da gioco è vastissimo ma quello che conta nella vita sono le piccole cose. Caratteristica, questa, che lo avvicina a Kore’eda, che non a caso dopo lo snobbato – a torto, è il caso di aggiungere – Sandome no Satsujin è tornato sui suoi passi con Un affare di famiglia, opera non troppo pregevole in cui in sostanza si autocita ma che riflette bene il particolarismo geo-emozionale di certo cinema giapponese contemporaneo, reazione a una società incapace di affrontare il calo delle nascite e la polverizzazione della classe media.

Mirai però non è solo luogo di riscoperta. A complicare il già complesso ritratto dell’autore si aggiunge infatti l’inedito afflato realistico della caratterizzazione dei personaggi: la famiglia non è un’istituzione fuori dal tempo, per cui non c’è da stupirsi se a un certo punto la mamma, alla faccia della tradizione, decide di lasciare la cura della casa e dei figli al marito per continuare la sua carriera. Ancora, il nucleo non è soggetto a particolari disfunzioni e, cosa più interessante, i bambini fanno i bambini: dimenticatevi quindi i ragazzini indipendenti e superdotati dei film Ghibli, anche se le sfide che Kun dovrà affrontare – imparare ad andare in bicicletta, accettare la presenza della nuova arrivata – sono comunque degne di questo nome.

Mirai (2018)

Film dal cuore grande, Mirai purtroppo non riesce ad avere una presa salda sullo spettatore, dimostrando come Hosoda manchi ancora di polso nella gestione della materia narrativa. Lungometraggio ottusamente anticlimatico, si butta alle ortiche un ritmo mantenuto a fatica nel tentativo di chiudere le linee narrative in un’unica soluzione, andando a penalizzare anche la maturazione del protagonista conquistata di fresco.

Allo stesso tempo, è vero che quanto appena detto non basta a smorzare il nostro entusiasmo: nello Studio Chizu si è alzato il vento e ancor più del tanto preconizzato Studio Ponoc si candida a diventare il nuovo “regno dei sogni e della follia”. Non resta da fare che un ultimo passo e poi davvero non ci saranno più dubbi.