Una vita a combattere le disuguaglianze, a cercare di migliorare le condizioni dei lavoratori, a lottare per l’emancipazione delle donne e il suffragio universale. Un’infanzia trascorsa in un fumoso salotto tra teorie rivoluzionarie e grandi pensatori, ascoltando i commenti di Engels e respirando le riflessioni alla base di Das Kapital. Difficile immaginare cosa abbia influenzato maggiormente Eleanor, la figlia più giovane, colta e combattiva di Karl Marx, cresciuta tra intellettuali rigorosi e geniali nell’indagare macrofenomeni economici e politici, ma forse meno abili nel riconoscere la profondità e l’autonomia del pensiero di una giovane donna che voleva essere libera.

Ma non bastano tutte le teorie del mondo per essere liberi veramente. Non bastano l’attivismo, l’impegno politico per scalfire il retaggio secolare di un mondo maschile fatto per gli uomini, in cui anche le donne che hanno avuto la possibilità di rivendicare la parità dei sessi, di vivere e perseguire i propri diritti, l’hanno fatto su concessione del genere dominante, anche in famiglia. Così Eleanor, dopo aver seppellito l’amato padre, aver aiutato a risistemare le sue carte, è pronta a guadagnarsi l’autonomia intellettuale e personale tanto desiderata, frutto di profondi studi, brillante acume e sottile sensibilità.

Finché la sorte non ci mette lo zampino, facendola innamorare dell’affascinante commediografo socialista Edward Aveling: l’uomo sbagliato. Bugiardo, spendaccione, donnaiolo, Edward è però per Eleanor la prima finestra su un mondo nuovo fatto di viaggi ed esperienze internazionali, di incontri e curiosità da appagare e un richiamo verso quell’indipendenza negata da anni di costrizione al capezzale di familiari malati, aspettando tra un libro e l’altro solo l’ennesima disgrazia (padre, madre e una sorella morirono a poca distanza uno dall’altra). Col passare del tempo però, la consapevolezza di aver convissuto (Edward era già sposato), sospettandolo ma senza aver il coraggio di ammetterlo fino in fondo, immersa in un altro regime di dipendenza camuffato da libertà, sarà foriera di un gesto estremo.

Susanna Nicchiarelli porta sul grande schermo un altro biopic dopo la riuscitissima storia di Nico, 1988, presentata anch’essa alla Mostra del Cinema di Venezia. Lo fa con la consueta dose di energia, imputabile non solo al carisma delle protagoniste e alla immancabile musica rock, ma anche grazie a uno stile risoluto e personale. La vicenda storica raccontata in Miss Marx è incredibilmente e terribilmente attuale, nonostante siano passati più di 120 anni. Le discriminazioni continuano e le società propagandano una parità dei generi che non trova riscontro nella realtà. Così l’irrealizzata liberazione di Eleanor diventa il manifesto di una rivendicazione tuttora necessaria.

Se il messaggio è inequivocabile, necessario e condivisibile, il racconto cinematografico non risulta invece dirompente come i bei titoli di testa lascerebbero supporre. Nicchiarelli prova a rovesciare la prospettiva e raccontare un mondo di uomini tanto colti quanto ingenui nel non riconoscere le proprie contraddizioni. La regista di Cosmonauta afferma con forza l’autonomia – anche di pensiero – della protagonista facendole recitare pensieri e citazioni con lo sguardo diretto alla macchina da presa. Ma è uno dei pochi guizzi che permettono a Miss Marx di uscire dal seminato, al quale torna velocemente grazie alla ricostruzione, piuttosto classica dal punto di vista della narrazione, degli ultimi quindici anni di vita di Eleanor Marx.