Un film coraggioso e attuale, drammatico e reale, una storia d’amore e di morte, di contraddizioni e di dolore. Un film contro il pregiudizio e l’ipocrisia.
La donna fantastica è un paradosso: la protagonista, Marina, non è infatti donna. Non lo è per l’anagrafe, che la definisce ancora Daniel, ma è indubitabilmente donna nei sentimenti, nel coraggio, nella forza di affermare il suo diritto di esistere e di amare.
Marina è una cameriera aspirante cantante d’opera, che si esibisce in un locale di Santiago del Cile. Orlando, il suo uomo, è un benestante che ha lasciato per lei la famiglia. Durante la cena per il compleanno di lei, lui le regala un viaggio insieme alle cascate di Iguazù: un modo per confermare la loro salda condizione di coppia. Ma nella notte Orlando è colpito da un aneurisma e, nonostante i disperati tentativi di Marina di salvarlo con una corsa precipitosa in ospedale, egli muore.
La scomparsa di Orlando, oltre al dolore, causa a Marina circostanze da incubo: prima è allontanata in quanto non parente né legittima, poi guardata con sospetto e disgusto (la ex moglie di Orlando definisce senza mezzi termini il loro è rapporto “una perversione”). Subito dopo viene buttata fuori della casa dove viveva con l’uomo e non le viene lasciato nemmeno l’adorato Diablo, il pastore tedesco. Infine è addirittura indagata per il decesso. Non ammessa a partecipare al funerale, si presenta comunque, ricevendone una brutale aggressione dal figlio di Orlando e da altri parenti.
Nel contempo Marina segue la pista di una chiavetta con un numero, trovata in tasca a Orlando e mai consegnata alla famiglia. Nello scoprire il mistero della chiave, Marina entra simbolicamente, come per una estrema messa alla prova, in quel mondo maschile del quale non fa parte e che vede forse per l’ultima volta.
La regia è a tratti lineare e asciutta, ma per lo più barocca, eccessiva: fantasmi di Orlando, specchi, inquadrature ad effetto, colpiscono la fantasia ma appaiono un po’ retorici e pleonastici, perché in realtà nulla aggiungono alla densità del significato.
Sebastián Lelio, quarantatreenne regista argentino naturalizzato cileno, presenta questa interessante pellicola in concorso al Festival di Berlino 2017, dopo essersi già affermato nel 2013 con Gloria, che vinse l’Orso d’argento per la miglior protagonista.