“Munmo tashi khyidron” di Dechen Roder

Noir buddista

Munmo tashi khyidron

Presentato all’interno di Open Doors, la sezione del Locarno festival dedicata alla scoperta e promozione di giovani talenti provenienti dall’Asia e dal Sud del mondo, Munmo tashi khyidron (2016) – titolo internazionale Honeygiver among the dogs – segna l’esordio alla regia di un lungometraggio della bhutanese Dechen Roder, che mette a punto un meccanismo ben congegnato in grado di mantenere la tensione alta fino all’ultimo.

La priora di un monastero buddista è misteriosamente scomparsa. Sulle sue tracce viene inviato il detective KinleyJamyang Jamtsho Wangchuk –, le cui indagini portano verso un’unica direzione: l’ultima arrivata nel villaggio, la bella e terribile ChodenSonam Tashi Choden. Il poliziotto si avvicina così sotto copertura alla sospettata, arrivando a scoprire un disegno più grande che coinvolge anche diversi insospettabili.

Munmo tashi khyidron

Definito dalla stessa autrice un noir buddista, Munmo tashi khyidron modella la sua protagonista sull’ideale della dakini (danzatrice del cielo), la donna illuminata nella virtù in questa vita, in questo corpo. Proprio dall’incontro con una di esse Roder è stata motivata a portare sul grande schermo una storia che parlasse della condizione delle donne del suo Paese. In un panorama dove la tradizione letteraria e i media tradizionali contemplano quasi esclusivamente il punto di vista maschile, la dakini si pone come possibile antitesi pacifica a un certo tipo di pensiero che per sussistere ha bisogno di soggiogare l’alterità.

Questo il sottotesto che si può leggere nell’intrigo ordito ai danni della badessa del monastero, ma non si tratta di un film di concetto: vengono anzi messi in chiaro da subito le pedine sulla scacchiera, che seguendo un pattern assodato ma sempre avvincente passeranno da un estremo all’altro della stessa. Il vero nemico, in fondo, è il «demone dell’oro» che corrompe il cuore degli uomini mettendoli gli uni contro gli altri.

Roder, che della sua opera prima firma anche la sceneggiatura, intrappola i personaggi in una ragnatela di Shyamalana memoria, mettendo in discussione la realtà degli avvenimenti: la monaca è viva o morta? È possibile indagare su persone che sono state viste a malapena una volta? Quali sono i «poteri da seduttrice» di Choden e stanno davvero modificando la percezione di Kinley?

Munmo tashi khyidron

Dimostrando di saper maneggiare con fluidità la cinepresa regalandoci delle belle sequenze di pedinamento, la mano dietro Munmo tashi khyidron conosce l’arte del compromesso: si tratta di un film che sposa in pieno le prerogative del genere ma che è autoriale nella misura in cui parla della società bhutanese, della corruzione delle sue gerarchie, della questione dell’isolamento e povertà dei centri rurali e del regime para-teocratico che in essi vige.

Corroborato da un’ottima prestazione degli attori – con una menzione d’onore all’esordiente Sonam Tashi Choden –, Munmo tashi khyidron è esotico, romantico, e in alcune sezioni persino visionario. Un prima prova brillante, sfaccettata al punto giusto senza strafare.