Come si può fuggire da un luogo come il campo container di Ponticelli? Cosa si può fare di fronte a un destino che sembra segnato? Si può accettarlo, entrando a far parte degli ingranaggi, e magari creandosi una propria posizione all’interno del microcosmo di relazioni di questa sorta di favela alle porte di Napoli, illudendosi di essere diventato qualcuno; oppure si può ribellarsi, scavarsi una nicchia all’interno di quel microcosmo all’interno della quale nascondersi, corazzarsi, resistere.
Su questa dicotomia si impernia Nevia, che prende il titolo dalla sua giovane protagonista, un personaggio di rara vitalità, caparbia e insicura al tempo stesso. Nevia sceglie la seconda strada, anche se tutti intorno a lei prediligono la prima, vuoi per convenienza, come Salvatore, vuoi per semplice accidia e rassegnazione, come zia Lucia, uno dei pochi raggi di luce nel cupo mondo intorno alla ragazzina. Si costringe quindi a crescere in fretta, facendosi carico di accompagnare la sorellina a scuola, portare a casa soldi per aiutare la famiglia, e tenere testa alla nonna e al circolo di piccoli malviventi che le gravitano attorno.
Nunzia De Stefano, al suo esordio alla regia, racconta una storia potente e personale, una storia di riscatto che si fa fiaba moderna grazie alla commistione di due mondi così diversi da sembrare incompatibili: da una parte il degrado del campo container, dall’altro il fascino del circo. Questo contrasto viene ben catturato dalla fotografia, grigia e desaturata nelle scene a Ponticelli, luminosa e colorata in quelle del circo, che diviene una sorta di mondo magico e parallelo, in cui le leggi della realtà sono sospese e Nevia può finalmente dimenticare, seppur per poco, le difficoltà che deve affrontare a casa.
Il microcosmo di Ponticelli è però il vero coprotagonista: non solo fa da sfondo alla crescita della ragazza, fermamente decisa a non farsi sfiorare dallo squallore che la circonda, ma è il cuore pulsante della narrazione, il vero antagonista di Nevia. De Stefano ci immerge in questo mondo dimenticato da tutti e gli dà vita e dignità, raccontandone la varia umanità con occhio quasi documentaristico ma sincero affetto, costruendo personaggi veri e reali, che ci sembra di conoscere da sempre. La regista accompagna lo spettatore in una passeggiata fatta di inquadrature lunghe, sempre in movimento, che sembrano inseguire Nevia e ci accompagnano con dolcezza nel suo mondo, nel suo vagabondare da diciassettenne cresciuta troppo in fretta.
A dare vita a questa varia umanità c’è un cast di attori semplicemente perfetto nella sua naturale vitalità, una boccata di aria fresca rispetto agli affettati stilemi che solitamente affliggono la recitazione italiana. Tra loro brilla Virginia Apicella, la giovane protagonista, che incarna con grande intensità e realismo questa diciassettenne costretta a essere seria e posata, ma in realtà divorata dalla voglia di ridere, di conoscere il mondo, di trovare gioia in ciò che fa, in ciò che é.
Qualcuno potrebbe obiettare che la storia di Nevia è una storia già vista tante volte, e avrebbe probabilmente ragione. Proprio qui, tuttavia, sta la forza delle fiabe: nella loro capacità di raccontarci sempre qualcosa di nuovo attraverso il confronto con nuove sensibilità, nuove latitudini, nuove persone. Nunzia De Stefano ha colto alla perfezione questo aspetto universale della fiaba, realizzando un film che colpisce per la capacità di trovare la bellezza anche dove sembra non essercene e farla lentamente crescere di fronte ai nostri occhi; un film che racconta l’oggi con crudo realismo e, al tempo stesso, ci fa sognare un futuro migliore.