Niccolò Fabi: «20 anni di carriera e ora canto l’età adulta»

Sono venti per Niccolò Fabi. Vent’anni di carriera e un nuovo album per festeggiarli: Diventi Inventi 1997-2017. Un doppio CD: una selezione di canzoni (riarrangiate), un inedito, demo e provini di canzoni mai uscite. Più un’edizione limitata, disponibile solo su Amazon: doppio CD, doppio LP, un 45 giri, un libro-intervista curato da Martina Neri e un CD live registrato durante il tour estivo.
«Ho dovuto riascoltare i miei pezzi, per capire quali di questi potessero essere riarrangiati con le atmosfere con cui mi sentivo più a mio agio», ci ha raccontato Niccolò. «Volevo fornire all’ascoltatore (e a me stesso) un ascolto omogeneo. La raccolta precedente l’avevo realizzata in occasione dei dieci anni di carriera, ma ora ovviamente il repertorio era molto più vasto. Volevo trovare 16-17 pezzi coerenti come tempo e come spazio, per dedicare 40 minuti della mia giornata a uno stato d’animo. A un intimismo minimale privo di distrazioni. Solo, a casa: il distillato più puro di quello che sono». 
Una scelta in armonia con la sua personalità: «Il mio non è un linguaggio eclatante. Ho una voce esile, quasi sovrastata dagli arrangiamenti. Una somma di piccole cose si sposava con quei tipi di linguaggio e sensibilità».

Dicevamo, un doppio disco, in cui a suscitare maggiore interesse è il secondo CD: «Inediti, provini e canzoni che, all’inizio, avevano atmosfere molto diverse da quelle definitive. Pezzi giustamente rimasti nel cassetto per molti anni, non rappresentativi di un modo di scrivere particolarmente interessante, ma di un momento in cui l’artista è in studio, da solo, e si diverte a sperimentare. Altre sono miei errori di valutazione, come Il primo della lista. Poi, canzoni che sono state trasformate profondamente: Un passo alla volta, qui in una struttura embrionale che non mi convinceva, e La mia fortuna. È un disco che mi mette in rapporto con il mio passato: cos’ho salvato, cos’ho buttato facendo bene e cos’ho buttato facendo male, cos’ho trasformato. Una canzone che ho rifatto dopo molto tempo è Capelli, con cui ho “fatto pace” di recente, mi serviva durante i concerti per alleggerirli. Un pezzo, invece, che non rifarei neanche sotto tortura è Dica: un prodotto di laboratorio, nato per diventare un singolo, scritto in cinque ore e tra mille risate con Riccardo Sinigallia».

Ma Diventi Inventi 1997-2017 rimane soprattutto un lavoro per festeggiare 20 anni di carriera: «L’aspetto celebrativo c’è. Trovo che il mio sia stato un percorso molto bello e di cui sono molto orgoglioso. È una storia che, se fossi un altro, mi piacerebbe sentirmi raccontare. Quella di un artista che, all’interno di un cambiamento epocale, ha trovato il modo di continuare a essere naturale. Negli ultimi sei – sette anni ho raggiunto il massimo a cui potessi ambire, non credo di poter fare meglio con questo tipo di canzoni. E sono riuscito a far assomigliare la mia vita ai miei desideri. Ogni artista è bravo a dipingere una determinata stagione della vita: io mi sento più a mio agio nel raccontare le problematiche della vita adulta, e con il tempo sono migliorato. Sono una persona delicata, in gioventù perdevo in potenza espressiva. Ora il mio volto è più rugoso, le mie parole hanno più spessore perché sono quelle di un uomo che ha preso tanti cazzotti dalla vita. E anche la mia musica ha assunto connotati più poetici, perché collegata a un uomo che ha vissuto. Ho avuto la fortuna che il successo sia arrivato piuttosto tardi, sono un potenziale narratore della vecchiaia». 
E in gioventù: «Sentivo di essere fuori posto, ero molto a disagio. Io non ho il carattere del cantante: il carisma, la voglia di essere sempre al centro dell’attenzione. Quando mi guardano divento rosso. Il primo Sanremo, per fortuna, andò molto bene e da lì nacque un personaggio, ma non una persona: quello non ero io. Non sono forte nella canzone singola, ma riesco a “curare” le persone in due ore di concerto. Quel disagio di allora e la mia timidezza “esplosiva” sono diventati la mia forza comunicativa».

Una battuta anche sulla pausa dopo il concerto-evento di Roma: «Sono riuscito a concretizzare quello che volevo concretizzare. Ora vorrei capire se sono in grado anche di fare dell’altro. In questo periodo vorrei provare a concentrarmi su altri progetti, che non mi vedano come cantautore. I concerti degli ultimi anni sono stati meravigliosi, ma il mio fisico mi sta chiedendo di prendersi una pausa, per vivere la musica anche come gioco e non solo come professione. Ho “costruito” per 20 anni, ora è arrivato il momento di “abitare”. E quindi ho deciso di fermarmi per un po’».

Infine, il concerto del 26 novembre al Palalottomatica di Roma: «Ci penso con grande emozione, ma non mi fa per niente paura. Ci sarà un aspetto emotivo fortissimo, si piangerà molto. Non sarà uno spettacolo completamente diverso da quelli precedenti. Saranno le mie canzoni, ma le persone saranno molto più “potenti” di qualsiasi pezzo. Sono il compagno dei momenti difficili di tanta gente e lo considero un grande onore: è molto più gratificante essere ascoltato in quelle situazioni che durante una festa. La paura sarà per il 27 novembre: cosa farò? Perché la libertà a cui aspiro contiene anche un’incognita. So che quello che ho fatto finora non si ripeterà più, perché non voglio che si ripeta. Non punto, ad esempio, a “rifare il palasport”, anche se non voglio precludermelo a priori. Certo, lì ho visto i 15 concerti fondamentali della mia vita da quindicenne: da Bob Dylan a Paul McCartney, ai Police. E, per un romano, fare quella piccola salita e quella scalinata sarà veramente emozionante».