BOLZANO – Powder Her Face di Thomas Adès ha chiuso il cartellone della stagione d’opera 2022 Larger than life al Teatro comunale di Bolzano lo scorso 25 e 26 marzo. Figura controversa come tante quella di Ethel Margaret Whigham, la “dirty duchess”, così soprannominata dalla stampa britannica, condannata alla miseria dal divorzio e dal processo intentatole dal compagno Ian Douglas Campbell duca d’Argyll nel 1963. Animatrice di salotti famosi, frequentati da politici, attori, artisti e aristocratici, fu autrice di uno scandalo – rapporti extraconiugali con più di ottanta uomini (forse esagerazione maschilista) e la documentazione degli stessi in alcune inequivocabili polaroid – che attirò la morbosità dei media e dell’opinione comune, in un’epoca in cui, se da un lato il mondo inventava la minigonna, legalizzava l’omosessualità, cantava i Beatles e i Rolling Stones, dall’altro la stampa iniziava ad alimentare un certo voyeurismo, che dura tutt’ora, più per i vizi privati che per le pubbliche virtù. Lo scarto tra il “si dice” e il “così è” si coglie proprio col nascere della fotografia, quando la vita privata diventa documentabile ovunque, anche in camera da letto.
Powder Her Face è un lungo flashback ad anello, ambientato in una stanza d’albergo ove la duchessa rivive l’ascesa e la caduta, sempre in scena anche quando non canta, fino allo sfratto per inadempienza, comunicatole dal direttore che altro non è che la morte, come il Commendatore mozartiano. Grazie alla compendiarità del libretto di Philip Hensher, dal 1990 si torna agli anni Trenta, Cinquanta e Settanta, assistendo a splendori e miserie della povera Margaret. Di esplicito c’è poco, solo una fellatio simulata, la “blowjob aria” che destò scalpore alla prima del 1 luglio 1995. La condotta libertina di questo Don Giovanni in gonnella risulta dai commenti che fanno i numerosi personaggi che si relazionano con essa. A cementare il tutto ci pensa il linguaggio musicale eterogeneo di Thomas Adès che spazia dalla milonga di Piazzolla al foxtrot, dallo swing di Porter a citazioni straussiane, oltre che da rimandi a Berg e Britten.
L’allestimento proposto dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento proveniente dal NOF-Nouvel Opéra Fribourg, è sostanzialmente fedele al testo e non presenta particolari scatti in avanti innovativi. Il regista Julian Chavaz ritrae la duchessa rimanendo in equilibrio tra una caratterizzazione generale e qualche accenno di introspezione psicologica nel finale, ma manca la cifra per farne una moderna eroina tragica. Nello spazio claustrofobico pensato da Anneliese Neudecker, fatto di pannelli verticali colorati, specchi e un lettone rotondo, la tana della duchessa, la realtà entra con invadenza con le sue luci e le sue ombre che trovano perfetta espressione nel lighting design di Eloi Gianini e nei bei costumi di Severine Besson.
Timothy Redmond, alla guida dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento oramai astro di riferimento nel repertorio contemporaneo, riesce bene nell’esaltare il vitalismo di questa immensa massa strumentale, facendo risaltare il dissidio tra la passione fisica e l’integrità psichica della duchessa che si esprime attraverso strumenti chiave come la fisarmonica, il clarinetto e le percussioni.
Sophie Marilley, nei panni della Duchessa, tratteggia il personaggio tramite una linea di canto precisa e una recitazione elegante, senza provocazioni di sorta. La cameriera, l’amica, l’amante del Duca, la ficcanaso e la giornalista di cronaca rosa sono affidate al soprano Alison Scherzer che si distingue per facilità all’acuto e ottima dizione. La versatilità del tenore Timur, nelle vesti dell’elettricista, il gigolò, il cameriere, il ficcanaso e il fattorino può contare su una vocalità agile nei più vari registri. Bene anche Graeme Danby nei panni del direttore dell’hotel, del Duca, dell’addetto alla lavanderia e di un ospite dell’hotel.
Spiace constatare lo scaro pubblico alla replica del 26 marzo che ha comunque tributato calorosi applausi a tutti gli interpreti.
Luca Benvenuti