Sembra un personaggio di un capitolo mai pubblicato del libro Cuore, ibernato fino a oggi e ora catapultato nel film così com’era, senza preoccuparsi di aggiornarlo. Tra il contadino 75enne Orlando, dalla provincia di Rieti, licenza di quinta elementare, tipo di poche parole (“Parlo solo se ho qualcosa da dire”) e quelle poche esclusivamente nel suo dialetto stretto, ecco: tra lui e mio nonno, mio nonno mi pare Star Trek. E dire che era nato nel 1911 e fino a 75 anni non è nemmeno arrivato. Anche lui era stato un contadino e aveva solo la quinta elementare, però era cordiale, affettuoso e generoso. Parlava volentieri e correntemente in italiano comprensibile e senza pesanti accenti e inoltre aveva persino imparato qualcosa dalla vita, come per esempio a esprimersi dignitosamente anche in francese e spagnolo. In comune con Orlando aveva solo che entrambi fumavano come ciminiere. E entrambi nonni.
Comunque, benché mi riesca difficile, qui devo parlare di nonno Orlando anziché di mio nonno.

E questo Orlando (Michele Placido, in una sua interpretazione da “cattivo” come nemmeno nei film di mafia) è anche un po’ artista, visto che suona l’organetto con una certa bravura, tanto che è invitato alle feste di paese, intrattenendo sapientemente con melodie ora gioiose ora malinconiche. Pare dunque ancora più incongruo che – come si apprende dal film – tutta la vita privata di costui sia stata all’insegna della scontrosità, della rozzezza, dell’anaffettività, dell’isolamento e anche di una considerevole dose di rancore.
Così si presenta Orlando nelle lontana e straniera Bruxelles, dove vent’anni prima (subito dopo la morte della moglie) si era letteralmente rifugiato il suo unico figlio Valerio. Costui, aveva tanto patito quel padre che, diventato padre a sua volta, dice alla figlia che “papà” era una parola che non gli piaceva: “Chiamami Valerio”.

Ma purtroppo la 12enne nipote Lysa (Angelica Kazankova) è nel frattempo rimasta orfana, così da “padre padrone”, Orlando si fa “nonno padrone”, perché lui è ora il suo unico legame di sangue. Ma la ragazzina è un osso duro: parla e ragiona da sapientina, come in punta di diritto, e si rifiuta di seguire il vecchio orso in Italia.

Insomma: la relazione tra i due è ben burrascosa e il finale vagamente dolciastro non convince che finisca davvero tutto bene. Forse che ci si debba attendere un “Orlando 2”?
Speriamo di no, perché di luoghi comuni, retorica e altre varie banalità ce ne sono già abbastanza qui.

Se un merito può avere questo film, è di ricordare che anche noi italiani siamo stati emigranti, caso mai ogni tanto qualcuno se lo dimenticasse.