“Dahomey” è l’antico nome del regno africano che oggi, dopo l’indipendenza, si chiama Benin. Premiato il film che testimonia delle reazioni alla restituzione al Paese di alcune opere d’arte antiche che erano state sottratte dalla Francia in epoca coloniale. La regista franco/senegalese Mati Diop, nel ricevere il premio, dichiara “Lo dedico alla comunità invisibile che il film rappresenta. Restituire significa riabilitare… dobbiamo scegliere se considerare il passato come un peso o come un’opportunità per migliorare… per lottare per la democrazia e per la giustizia”.

Così ha deciso la Giuria Internazionale, composta dalla Presidente Lupita Nyong‘o e da Brady Corbet, Ann Hui, Christian Petzold, Albert Serra, Jasmine Trinca e Oksana Zabuzhko.
Anche lo scorso anno aveva vinto un documentario, era “Sur l’Adamant”, di Nicolas Philibert, che mostrava il lavoro dei servizi sociali su un battello ancorato sulla Senna a Parigi. Ritengo che si dovrebbe discutere se sia opportuno continuare ad ammettere nei concorsi, nella stessa categoria, film di finzione e documentari. È abbastanza evidente e ovvio che i secondi, se realizzati bene, colpiscono di più per l’immediatezza del tema e per l’efficacia del messaggio.

Numerosi Orsi d’Argento sono stati distribuiti tra vari film ma purtroppo nessun riconoscimento a nessuno dei due film italiani, molto applauditi dal pubblico durante le proiezioni (Another end e Gloria!).

I premi “di consolazione” sono andati a:

A Different Man, di Aaron Schimberg, per la migliore interpretazione protagonista di Sebastian Stan, che commosso ha ricordato “ero solo un bambino romeno arrivato in America…”;

Small Things Like These, di Tim Mielants, per la migliore interpretazione non protagonista di Emily Watson: “dedicato alle migliaia di donne la cui vita fu devastata dalla collusione tra Chiesa Cattolica e Stato;

Pepe, di Nelson Carlos De Los Santos Arias; dove il protagonista è il primo ippopotamo africano ucciso in America nei possedimenti di Pablo Escobar : “… Abbiamo un problema – dice il regista – si chiama mancanza di immaginazione…”;

Sterben (Dying) per la miglior sceneggiatura di Matthias Glasner : “È stato presentato come un film sulla mancanza di amore.. ma c’è un messaggio all’inizio: la bambina è mia figlia di 5 anni che un giorno mi ha detto “devi ascoltare il tuo cuore”. Cosi bisogna fare!”;

Des Teufels Bad (The Devil’s Bath) di Veronika Franz e Severin Fiala, per il contrinbuto artistico di Martin Gschlacht;

A Traveler‘s Needs di Hong Sangsoo, che nel ritirarlo ha domandato con onesta perplessità: “che cosa avete visto nel mio film”;

L’ Empire, di Bruno Dumont, che ha ritirato facendo ascoltare con una buffa registrazione su che cosa sia un film, fingendo che forse lo stesso Orso a parlare.

Oltre a questi, ci sono stati tutti i premi nei cortometraggi (commossi i giovani registi dei “corti” alla notizia del premio) e nelle altre varie sezioni: Panorama, Forum , Documentari, Enconunters, ecc.

Le premiazioni sono state occasione di forti prese di posizione politiche, in particolare a causa del conflitto in Medio Oriente, “Dopo il brutale assalto di Hamas del 7 ottobre, si è aperta una catastrofe umanitaria – ricorda Rissenbeek – invitiamo Hamas a rilasciare gli ostaggi e Israele di cessare il fuoco. Le armi – ha proseguito – devono lasciare il posto alla trattativa ma la discussione deve avvenire sempre nel rispetto reciproco. Antisemitismo e antiislamismo non hanno posto qui – ha poi ricordato – presentando il premio al documentario “No Other Land”, realizzato da un collettivo composto da israeliani e palestinesi. Il palestinese chiede di smetter di mandare armi in Israele. L’Israeliano denuncia che lui e i palestinesi dovrebbero aver gli stessi diritti.

La premiazione è stata anche occasione per i due direttori, Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian, di accomiatarsi dal pubblico, presentando Tricia Tuttle, nuova direttrice della Berlinale dal 2025.
Commosso Chatrian, che rimpiange non tanto i grandi divi che ha visto passare in questi anni, quanto certi film fatti con poco denaro e molta creatività e soprattutto il grande pubblico della Berlinale, auspicando che i cinema si tornino a riempire.
“Nei cinque anni si sono affrontate molte sfide – dice – ma a ogni sfida si creano nuove opportunità, come la bellissima Berlinale estiva all’aperto nell’anno del Covid. Bisogna essere ottimisti: la vita può essere difficile ma insieme ce la si può fare”.