Nato settantacinque anni fa, a Napoli, nei Quartieri spagnoli, è morto lo scorso 13 gennaio l’attore-drammaturgo Enzo Moscato. Due giorni fa la cerimonia funebre: la camera ardente sul palcoscenico della sala Assoli ai Quartieri spagnoli, poi i funerali a San Ferdinando, la chiesa napoletana degli artisti. Tra i presenti Toni Servillo, Isa Danieli, Cristina Donadio, Benedetto Casillo, Nello Mascia, Eugenio Bennato e Mario Martone. Di questo grande artista che dette nuova linfa al teatro napoletano del dopo Eduardo contaminando felicemente la tradizione con Artaud, con Genet, coi poeti maledetti dell’ottocento e con Pasolini, ecco un ritratto a firma di Piermario Vescovo, direttore artistico del Teatro Stabile di Verona. Oltre ad avere lavorato con lui alla Biennale del 2007, Vescovo ebbe modo d’incontrarlo più volte a festival e a convegni d’ambito teatrale.
«L’ho conosciuto a Venezia grazie a Maurizio Scaparro al tempo in cui – dice Vescovo – ricavava da una commedia di Goldoni dedicata a Molière, per la Biennaleteatro nel 2007 cui collaboravo, “Le doglianze degli attori a maschera”. L’ho poi incontrato più volte, in varie occasioni, a Napoli e a Benevento. Senza retorica di sorta si può davvero dire che con lui il teatro e la cultura italiana perdono una delle grandi personalità, per l’arco di storia che la sua carriera comprende. A partire dai primi anni Ottanta in cui si segnalò come uno dei giovani rinnovatori (ma nutriti di appartenenza profonda) della scena napoletana del “dopo Eduardo”. E proprio a Eduardo è tornato nel 2012 col suo Tà-Kài-Tà, “questo-e-quello”, dove il secondo dei due era Pier Paolo Pasolini. Resteranno i suoi testi, la drammaturgia che egli definiva “senza troppo errore classificabile come scrittura teatrale di genere”, da “Scannasurice” a “Festa al celeste e nubile santuario”, da “Pièce noire” a “Bordello di mare con città”, solo per citare alcuni titoli, e i testi-partitura fatti di “libere effrante parole”, senza orpelli di sorta, ai quali mancheranno soprattutto la sua voce e il suo canto. Lo ricordo, con particolare struggimento, cantare – conclude Vescovo – “Palomma ‘e notte”».