Nella antica tragedia greca la vicenda era sempre già nota; dunque di volta in volta lo spettatore voleva scoprire come fosse raccontata, capire perché di certe scelte, immaginare il contesto presente, rappresentarsi le domande sul futuro, entrare nella logica contrastante tra ideali e ideologie.
Questo meraviglioso, potente film di Marchio Bellocchio è una tragedia classica. La vicenda, in sintesi, è quella di Edgardo Mortara, che nel 1858, all’età di sei anni, fu strappato dalla sua numerosa e agiata famiglia ebrea a Bologna e condotto a forza a Roma. Edgardo infatti doveva essere educato secondo la fede cattolica, dato che era stato battezzato. Sacramento impartitogli in segreto una domestica, pare in cambio di denaro. Una volta adulto, Edgardo divenne sacerdote cattolico, ebbe un fervente (quanto inefficace) anelito di convertitore e non ritornò mai più alla fede ebraica.
Già da subito il “caso Mortara” scosse le coscienze e divenne in breve tempo di dominio pubblico addirittura mondiale. Dimenticato poi per oltre un secolo, fu portato nuovamente alla ribalta nel 1997 grazie al libro dello storico statunitense David Israel Kertzer (The Kidnapping of Edgardo Mortara, 1997; in Italia: Prigioniero del Papa Re, Milano, Rizzoli).
Il film, magnificamente ambientato, ripercorre la vicenda di Edgardo Mortara in parallelo con le ben più note vicende politiche dell’Italia risorgimentale e con il contrasto con la Chiesa, governata dal terrore ben poco misericordioso di Pio IX, ultimo “Papa Re”. E ci suscita le domande della tragedia.
Di fronte a una ideologia intransigente, ottusa e fanatica, di fronte a quel “non possumus” che è un argine e un limite invalicabile, che rispose il Papa a Salomone Mortara, padre di Edgardo, che lo pregava di liberare il figlio, quale peso può avere l’ideale di libertà e di autodeterminazione? E quale atteggiamento avevano avuto gli altri: erano stati forse migliori gli ebrei romani, genuflessi e umili bacianti della pantofola di un Papa ricattatorio e minaccioso? E quelle umiliazioni non erano forse mosse dallo stesso disprezzo perverso che, quasi cento anni dopo, avrebbe creato le camere a gas?
Ma poi, una silenziosa e sottile azione diplomatica, avrebbe davvero piegato il volere di Pio IX, il cui potere temporale aveva ormai pochi anni davanti?
Un principio o una legge, come quella che tolse la patria potestà ai genitori perché era vietato crescere un cristiano in un’altra fede, poteva essere aggirata per senso di umana pietà? Non è proprio questo il tema trattato già nel 1779 da Lessing ne “Nathan il Saggio”, con esito ben diverso? Eppure, fu proprio per il suo spirito di pacificazione e di relativismo tra le religioni che tale opera fu proibita dalla Chiesa cattolica già mentre Lessing era ancora in vita e bandita poi anche sotto il regime nazista!
E ancora: quanto pesano sulla psiche di un bambino i condizionamenti portati da cultura e contesto? Quale valore dare al contesto della famiglia naturale rispetto a quello, per così dire, adottivo? Che diritto si ha, in generale, di imporre a un figlio una scelta o un’altra? E poi, che cosa ne sarà stato di tutti gli altri bambini ebrei, allevati anch’essi abusivamente nel cattolicesimo papale come Edgardo?
Che cosa poi avrà significato, nei quasi novant’anni della vita di questo cattolico e poi sacerdote, un breve attimo di smarrimento della fede? Uno smarrimento avvenuto a vent’anni e in un momento di forte pressione emotiva, dopo la morte del “suo” Papa Re, quando sarebbe potuto tornare in famiglia, cosa che invece non fece, da anni piegato e quasi fanaticamente sottomesso a una specie di forza sovrumana.
Quale significato soprannaturale, o subliminale o psicologico possiamo attribuire ai sogni/incubi? A quello del Papa spaventato dalla sua stessa inflessibilità e a quelli di un ragazzino costretto a convincersi di voler abbandonare la sua amatissima famiglia e che vede un Gesù allontanarsi dalla croce come un passante qualunque.
L’atmosfera del film è pervasa da colori e atmosfere fosche con sprazzi di luce, come nelle tormentate immagini di Caravaggio. Siamo colpiti dal parallelismo tra le preghiere ebraiche e cristiane, tutte ispirate dallo stesso bisogno di spiritualità, protezione, aiuto. Ma quanto pesano i riti scenografici, la pompa ricca e sontuosa, l’aulicità del latino, rispetto alle umili preghiere domestiche, nella affettuosa scenografia familiare, arricchite solo dal suono esotico della lingua ebraica! Eppure, come ci ha vanamente insegnato Lessing, amicizia, tolleranza e dialogo sono i veri valori in cui credere. Valori terreni, umani, concreti, come la meravigliosa mescolanza di italiano, ebraico e dialetto emiliano nella parlata di quella piccola comunità in bilico tra diversità e inclusione, che sa discutere di massimi sistemi ma non riesce a fermare l’abuso, come non seppero opporsi – quasi mai – i sei milioni di ebrei convinti con l’inganno ad andare ai lager e partiti come un immenso, silenzioso, ordinato e remissivo gregge.
Noi oggi, ancora alle prese con diritti civili negati o repressi a causa di intransigenti e anacronistiche posizioni ideologiche, siamo avvinti da questa vicenda di un passato ancora tanto attuale, doloroso, reale. Se il cinema, quando è arte, è anche profezia, l’ottuagenario Marco Bellocchio sembra volerci indicare una rotta di luce, sembra dire che il futuro sarà migliore, anche se il presente è ancora violenza, prevaricazione e brutalità. Pur malinconicamente ci arriva un messaggio rassicurante. E speriamo che il tempo non sia passato invano: di certo c’è speranza, finché film come questo potranno ancora essere fatti. E visti.
Presentato in concorso per la Palma d’Oro al Festival del Cinema di Cannes nel 2023, il film del grande regista emiliano Marco Bellocchio si avvale della superlativa interpretazione di Paolo Pierobon (Pio IX) e anche dell’ottima prova di Fausto Russo Alesi (padre di Edgardo), Barbara Ronchi (madre di Edgardo), Enea Sala (Edgardo da bambino), Leonardo Maltese (Edgardo da ragazzo), con Filippo Timi (Cardinal Antonelli) e Fabrizio Gifuni (Inquisitore Feletti).