«Re Pipuzzu fattu a manu», la magnifica fiaba di Dario De Luca

Che Dario De Luca sia un grande raccontatore non è certo una sorpresa. La dimensione diegetica è sempre presente anche nei suoi lavori prettamente teatrali, come i recenti e magnifici Lo Psicopompo (portato in scena con un’attrice del calibro di Milvia Marigliano) e Il Vangelo secondo Antonio.
L’artista calabrese è sempre autore, regista e interprete dei suoi spettacoli, e questo accade anche nel caso di Re Pipuzzu fattu a manu, che ha debuttato nel 2019 ed è stato riproposto lo scorso giugno a Primavera dei Teatri, un appuntamento irrinunciabile del teatro italiano organizzato per la ventitreesima volta da Scena Verticale, la compagnia di De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano (quest’anno il festival contava ben sedici debutti assoluti, quattro anteprime e tre progetti internazionali).
Re Pipuzzu è un «melologo calabrese per tre finali», e trae la sua materia dalla fiaba Re Pepe raccolta da Letterio Di Francia, fine letterato calabrese nativo di Palmi e tra i massimi studiosi della novella italiana. Questo testo riscuote una certa fortuna, tanto da essere inserito, con il titolo  Il Reuccio fatto a mano, nelle Fiabe italiane di Italo Calvino, con una lingua ‘semplificata’ che permette una fruizione universale ma che si lascia un po’ alle spalle l’espressività e la forza del vernacolo. Su questi materiali si innesta la magnifica operazione di Dario, che riscrive per la scena tutta la storia, utilizzando un suo calabrese, da una parte ‘stretto’ e dall’altra immediatamente comprensibile grazie anche e soprattutto al suo strepitoso lavoro d’interprete.

Re Pipuzzu narra una vicenda piuttosto singolare, fuori dai canoni tipicamente maschili che il più delle volte caratterizzano le fiabe popolari. Un re, rimasto vedovo, adora la figlia, Reginotta, e desidera per lei una vita felice con un degno marito al suo fianco. Ma lei disdegna la ricca schiera di pretendenti, trovando per ciascuno di loro un difetto insopportabile. Alla fine, dopo aver scartato ogni possibile candidato alla sua mano, si rivolge al padre dicendogli: «U sa chi vi dicu? Ca lu maritu mi lu fazzu sula, almenu sacciu chiru ca mi pigliu e si me vena malamenti sulu ccu mia m’a puozzu pigliari. Facitimi purtari nu cantaru di farina, nu cantaru di zuccaru e tri varili d’acqua da Sila ca mi lu mpastu sula».
Reginotta dunque decide di ‘impastarsi’ da sé lo sposo, un atto decisamente poco in linea con la tradizione, anche se è forse fuori luogo, in questo contesto, parlare di ‘protofemminismo’. Tant’è, il papà acconsente (forse nemmeno troppo a malincuore, se si pensa alla proverbiale gelosia paterna nel concedere ad altri le proprie figlie) e lei passa sei mesi intenta alla sua ‘creazione’, cui ne seguono altri per fornire al novello marito il dono della favella. È purtroppo impossibile dare conto dei vari, esilaranti risvolti di questa sua fatica ‘generativa’, che sgorgano fluidi dalle molte inflessioni della voce dell’attore. Basti dire che, nella lunga preparazione, cade l’ampolla del coraggio: Pipuzzu sarà dunque intelligente, simpatico a sufficienza ma certamente non un cuor di leone.


Il tratto più ‘eversivo’ della fiaba, comunque, non è quest’impastare in solitudine il futuro compagno: la prima volta che la coppia esce, dopo la celebrazione delle nozze, Pipuzzu viene rapito dal vento e scompare. Reginotta allora decide di montare a cavallo – lei, una donna, una principessa! – per andare alla sua ricerca. Il valore dell’indomita fanciulla, dopo molti incontri e altrettante peripezie, viene ricompensato: lo sposo è nelle mani della Draghessa, che lo costringe ad assecondare i suoi piaceri. Alla fine, nonostante la pavidità del marito (non dimentichiamoci l’ampolla del coraggio, che era ahimè caduta) i due tornano rocambolescamente a casa.
E qui si presenta il geniale epilogo ideato da Dario. Dopo che la calma è tornata nel regno, infatti, in Reginotta si insinua un dubbio atroce: ma il suo Pipuzzu sarà stato davvero costretto dalla Draghessa? Oppure, tutto sommato, non avrà disdegnato di giacere con lei per tutto quel tempo? Da qui i tre finali aperti, cui al pubblico femminile è richiesto di votare: 1). Reginotta, di indole generosa, dimentica e vive felice con l’amato; 2) trionfa la gelosia, e lei scaccia via il marito infedele; 3) decide di impastare e costruirsi un nuovo sposo. Per ogni scelta è pronto un finale ad hoc.
In questa riuscitissima incursione nella fiaba popolare (che diventerà presto il primo atto di un trittico) Dario non è solo a raccontare: un enorme ruolo assume, oltre alle luci che lui stesso cambia in scena, la straordinaria musica di Gianfranco De Franco, che si sdoppia tra live ed elettronica con l’ausilio di molti diversi strumenti. L”impasto, per tornare alla fiaba, è assolutamente coinvolgente e muove al riso e alla commozione anche i volti di coloro che solitamente a teatro restano spettatori impassibili. Bellissimo!