Dopo il concerto inaugurale con l’Ensemble Modern al Teatro La Fenice di Venezia, nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian venerdì 27 settembre si è svolta la cerimonia di consegna del Leone d’Oro alla carriera alla compositrice Rebecca Saunders, alla presenza della Direttrice artistica del 68° Festival Internazionale di Musica Lucia Ronchetti e del neo-Presidente de La Biennale di Venezia, Pierangelo Buttafuoco. 

Prima donna a ottenere l’Ernst-von-Siemens, tra i più ambiti riconoscimenti sul piano internazionale, Rebecca Saunders è stata premiata per la raffinatezza della sua ricerca e delle sue intenzioni compositive, oltre che per la capacità di creare uno spazio acustico intimo e interiore che evolve e amplifica l’immaginario sonoro. Cresciuta in una famiglia di musicisti, così come la compositrice inglese ha raccontato in dialogo con l’artista visivo Ed Atkins, Rebecca Saunders si è sempre concentrata sulle potenzialità del suono che, allo stesso modo di una materia prima, necessita di essere estratto e modellato. Il suono diviene così materico, un qualcosa di fisico. E come una lesione della pelle, squarcia la superficie del silenzio.

Al Teatro alle Tese, la giornata si è chiusa con l’esecuzione di Le Noir de l’étoile di Gérard Grisey, composizione scritta alla fine degli anni Ottanta sulla scia della scoperta delle Pulsar, stelle di neutroni che emettono onde radio e segnali a intervalli regolari. Sei isolotti disposti a cerchio nello spazio, uno per ogni percussionista, con la platea sgombra da sedie per accogliere il girovagare del pubblico lungo le traiettorie delineate dalla spazializzazione del suono. Nonostante l’ottima esecuzione dell’Ensemble This – Ensemble That, formato da Brian Archinal, Victor Barceló, Bastian Pfefferli e Jennifer Torrence, cui si sono uniti Federico Tramontana e Aleksandra Nawrocka, allievi di Biennale College Musica, e Thierry Coduys all’elettronica, qualcosa non ha funzionato. Sin da subito la maggior parte del pubblico – compresi il compositore Enno Poppe e il pianista Bertrand Chamayou – si è infatti accovacciato sul pavimento, o agli angoli degli isolotti, ostacolando quei pochi che intendevano vagare nello spazio per sfruttare al massimo l’effetto della spazializzazione sonora. Inoltre, il sistema di allarme ha interrotto a più riprese l’ascolto e l’ottimale fluire del suono. Interferenze che si potevano sicuramente evitare, e che sono state perdonate solo alla fine con vari giri di applaudi rivolti agli esecutori.