Rinaldo alla Fenice, torna lo stupore del Barocco

Rinaldo di Händel è tornato in scena dopo 32 anni al Teatro La Fenice di Venezia. L’allestimento, curato interamente da Pier Luigi Pizzi, regista di casa a Venezia fin dal 1951, si basa sulla versione creata apposta da Pizzi riducendo i tre atti a due, eliminando il personaggio di Eustazio e scegliendo alcune arie nella versione del 1731.

Ideato nel 1985 per il Teatro Municipale di Reggio Emilia, passato a Venezia nel 1989 e oggi ricostruito grazie alla collaborazione della Fenice con l’Opera di Firenze, questo Rinaldo è l’espressione perfetta del motto mariniano: «È del poeta il fin la meraviglia». Perché Pizzi è un indiscusso poeta nel dare al pubblico una visione sempre elegante e colorata dell’opera, anche quando gioca col bianco e il nero. In Rinaldo di nero, colore che nel passaggio dal Cinquecento al Barocco non viene abbandonato del tutto, ce n’è molto, ma serve per far risaltare i costumi, espressione come Pizzi fa spesso di dicotomie specifiche. I cattivi Argante e Armida, o in senso lato l’amore passionale, vestono di rosso e i buoni Rinaldo e Almirena, o in senso lato l’amore ideale, di un verde azzurrognolo a sottolineare i due poli opposti della vicenda. I grandi manti indossati riempiono lo spazio e movimentano l’azione, basata principalmente su gestualità classiche e declamatorie, ma mai noiose o prive di senso. L’omaggio alla spettacolarità delle macchine sceniche barocche è evidente nell’impiego di ben ventidue servi di scena, a cui va un enorme applauso, costantemente impegnati a spostare i personaggi su carri durante tutto il percorso narrativo. Completano la scena cavalli a grandezza naturale, barcacce e carri infernali dorati. E’ la musica con la sua forza a essere, come dichiara il regista, “una sorta di motore per creare immagini”. A differenza di molti allestimenti di repertorio ripresi dalla Fenice che dimostrano già a distanza di pochi anni una certa “ruggine” o di quelli che rileggono il Barocco con il Regietheater giusto per épater les bourgeois, questo Rinaldo, nella sua classicità, regge meravigliosamente la patina del tempo.

Francesca Aspromonte, voce giovane già apprezzata Angelica nell’Orlando furioso del 2018, è Almirena dal canto preciso e sensuale, abile nel gareggiare con l’oboe e il flautino in “Augelletti che cantate” e commovente nella celebre “Lascia ch’io pianga”, pagina eseguita con tecnica raffinatissima. Non è da meno l’incisività dell’aria d’ingresso “Combatti da forte” e la civetteria di “Bel piacer”. Nel ruolo eponimo Teresa Iervolino predilige più l’aspetto sentimentale, rivelandosi molto a suo agio nelle arie malinconiche e più sfumata nei momenti marziali. L’Armida di Maria Laura Iacobellis spicca per sincera facilità all’acuto, così come l’Argante e il mago di Tommaso Barea, agile nelle colorature e nelle cadenze. Leonardo Cortellazzi è Goffredo convincente e corretto. Completano il cast Valentina Corò e Marilena Ruta, ottime sirene, e Li Shuxin, araldo opaco.

Il direttore Federico Maria Sardelli porta avanti un discorso musicale volto a mettere in evidenza la bellezza della tavolozza cromatica dei timbri strumentali impiegati da Händel. Colori in scena e colori in buca che Sardelli affida ai maestri d’orchestra in una lettura che sfrutta dinamiche pertinenti, tempi ora serrati ora lenti, a dipingere un chiaroscuro barocco affascinante.

Successo di pubblico per tutti. Al termine, Pizzi accompagna il cast alla ribalta per ben tre volte con una rincorsa assai giovanile per i suoi 91 anni.

Luca Benvenuti