C’eravamo lasciati la settimana scorsa dopo un equilibrato e interessante – sebbene non perfetto – primo episodio. Puntualmente ritorniamo il lunedì successivo per continuare questo resoconto regolare di Sharp objects, con una seconda puntata che dati gli strettissimi tempi deve per forza procedere a passo di marcia mettendo parecchia carne sul fuoco. Ma sara così?
Il punto della situazione
Non proprio, invero; nonostante questo sia l’unico episodio, tralasciando la coppia finale, a poter vantare la collaborazione in fase di sceneggiatura dell’autrice del romanzo originale (usuale nei momenti più importanti) Dirt rimane una puntata piuttosto interlocutoria. La prima parte, più statica e in scia della precedente, vede la famiglia Preaker partecipare al funerale della seconda vittima, sempre a cavallo tra passato e presente. Solo successivamente iniziano a emergere alcuni fatti più succosi, come un probabile testimone e qualche sviluppo sulle indagini con il tipico detective forestiero (comunque sempre troppo abbozzato) che si affida a Camille per meglio entrare nello spirito di quella città che lo sta chiudendo fuori.
La miniserie
Il funerale, massivo e barocco, rappresenta appieno lo spirito di cui sopra. Siamo di fronte a un paesello che si svela sempre più per l’infernale microcosmo che è, sorretto da quell’economia fatta di armi e droga che riposa su un letto di ipocrisia e non meglio identificate “tradizioni”. Durante la cerimonia altri ricordi si svelano in fugaci apparizioni, acquisendo forse più determinatezza. Adora si mostra come una madre sì oppressiva, desiderosa di fare delle figlie poco più che delle bamboline, ma sprazzi dell’adolescenza di Camille ne mettono in evidenza un lato più truce, quello che emerge nel momento in cui capisce di non poter fare nulla per rimediare al ribellismo della figlia e così la abbandona affettivamente, come un giocattolo rotto. Ella preferiva l’altra figlia, quella sorella morta da anni che costituisce il vero motivo per la fuga di Camille da Wind Gap. Adora non si trattiene dal comportarsi con la protagonista come si tratta una bambina troppo vivace, tentando di impedirle di prendere appunti al funerale, che poi rievoca quello dell’innominata sorella(stra?): anche in quel momento la giovane Camille veniva allontanata dalla propria madre. In un rapporto così teso, correlato da un marito elegantemente inutile e da una figlia minore che è sempre più sul punto di scoppiare rompendo l’esoscheletro di porcellana, è difficile dire quale sia delle due a imputare delle colpe all’altra.
D’altro canto, mentre di delinea un intreccio tutto al femminile, tra il maggiore focus sui personaggi di Adams e Clarkson e questo insistere sulla “forza mascolina” dell’assassino che probabilmente rivelerà sorprese nel senso opposto, viene fuori che non scrivevamo tanto per farlo quando ironizzavamo sul “vivere di caccia e vecchie storie”. La donna in bianco del folklore locale, protagonista di molte di queste, viene indicata come rapitrice da un voce isolata. Non che un bambino di otto anni che gioca con una pistola in soggiorno mentre sua madre allevia il dolore del cancro con la metanfetamina nella stanza accanto rientri propriamente nella categoria del testimone oculare esemplare, però se tanto ci dà tanto questa figura virginale che contrasta con il luttuoso nero onnipresente nella puntata sarà certamente un turning point dello svolgimento delle indagini. Nella stessa tipologia va catalogata la presenza dei ragni, non solo un elemento che indica la bontà francescana della ragazzina morta, che ne nutriva uno, non solo un ovvio riferimento visivo alla ragnatela di misteri, forse un elemento cardine, quantomeno simbolico, di tutta la faccenda.
Volendo infierire, quest’ordine di elementi ci viene un po’ sbattuto in faccia, reiterando la dimensione scolastica della TV vecchio stampo che mal si sposa con la costante elaborazione registica ricercata da Sharp objects. Siamo in quel momento dove certamente di solito si tira un po’ il fiato, permettendo allo spettatore di prendere più confidenza con l’ambientazione dopo i botti del pilot, ma in una miniserie di otto ore procedere con i piedi di piombo agli inizi potrebbe comportare accelerate brusche verso la fine, sfociando in una conclusione anticlimatica. In generale le lente carrellate e il montaggio serrato lasciano via via posto a una forma più lenta e al servizio della narrazione, più attenta ad accompagnare i personaggi che non a dare risalto indefiniti aspetti particolari, uscendone tutto sommato più efficace e concreta. Dirt quindi è un episodio conservativo e non troppo importante, che, come da titolo, mette in mostra il marcio della città. “Dirt” è anche una delle parole incise da Camille su se stessa, così come era la scritta disegnata nella polvere di un cofano d’auto in Vanish. Sulla stessa auto in questo episodio è stato inciso “scared” con una chiave, delineando quella della giornalista sempre più come una patologia, una forma appunto di grafomania che esplica una necessità di dare corpo, profondità e dimensioni ad alcuni concetti – forse per convincersi che sono reali? Forse lo scopriremo tra sette giorni, o forse non ci resterà che porci altre domande, rimane tuttavia il fatto che quel passo in avanti tanto auspicato tarda ad arrivare, pur in un quadro stabilmente coerente.