Per la terza settimana consecutiva si continua a seguire Sharp objects. Per questa puntata, accantonato il contributo dell’autrice Flynn in qualità di valore aggiunto nella fase di sceneggiatura, la produzione torna ad affidarsi ai soliti mestieranti per portare a casa il risultato. Curiosamente si verifica con facilità che questo genere di episodi riesca leggermente meglio. Dopo essersi liberati di un’ingerenza sempre ingombrante come quella dell’autore dell’opera originaria, la maggiore esperienza delle personalità più modeste e operaie ha il giusto spazio di manovra per porre le basi per una virata più concreta. Questo non è proprio il caso, non perché l’apporto di Flynn fosse irrinunciabile, anzi tutt’altro, il motivo risiede piuttosto in un appiattimento strutturale della narrazione.
Il punto della situazione
Tutto bloccato. Non ci aspettavamo diversamente. Tuttavia non è possibile tirare fuori nulla da questa staticità, che non offre tensione, nervosismo, solo un compiaciuto ritratto di se stessa. Camille e il detective Willis si allontano e si riavvicinano, forse in modo pericoloso, ma dal loro rapporto svanisce ogni traccia di neonata complicità quando Amma, dopo averli notati, li dileggia infantilmente facendo notare come la sua anima ribelle in un clima così bloccato abbia avuto il sopravvento. Bloccato è Willis, sempre ostracizzato dalla polizia locale, in particolare dal capitano Vickery che borbotta soltanto di camionisti messicani di passaggio, bloccata è Camille, a cavallo tra i flashback che la vedono assistere a un’altra morte (il suicidio di un’amica in una clinica per autolesionisti) e la madre Adora, sempre più psicologicamente invadente, e bloccata è Amma, che tra punti di riferimento contraddittori sembra sul punto di implodere.
La miniserie
“Loro parlano e tu sei morto”. Il padre di una delle giovani vittime parla così a Camille prima che il filotto di domande rivoltegli da quest’ultima venga interrotto da un’entrata in scena tragico-grottesca della madre, scoperta più vicina alla ragazza morta,a cui dava ripetizioni. “Loro parlano e tu sei morto”. L’affranto genitore si riferisce alle donne di Wind Gap, che gestiscono tradizionalmente informazioni e pettegolezzi, il “mondo di mezzo” insomma, in una visione non certo progressista del proprio microcosmo, ma tant’è. Le parole uccidono, (circa): quelle di Camille la allontano – per appena qualche minuto – dal detective, che mal sopporta l’aria di collusione e ipocrisia, mentre quelle dello stesso investigatore lo isolano linguisticamente, le sue elucubrazioni riflettono un modo di pensare che non piace in loco. I due si riavvicinano (in un flirt, nemmeno a dirlo) in modo piuttosto forzato per seguire uno degli stereotipi che si fanno più imperanti in questo prosieguo. Se il secondo episodio sembrava voler disegnare un esito differente, Fix ci fa ricredere, rimettendo l’intreccio su binari più vendibili, in una lenta conformazione a qualcosa di molto più scontato. Spiace.
La parte più interessante, e meno scontata, sta nell’architettura del rapporto fra gli altri due personaggi femminili. Adora nel suo personalissimo crescendo manipolativo non riesce a tenere salda più la presa su Amma, che esplode frantumando la sua facciata ingenua in mille pezzi proprio quando l’attenzione si allontana da lei, sia essa quella di Camille, colpevole di esporsi in nottata dopo aver tentato di impedirle di farlo, o quella di Adora, che in qualità di “figura in bianco” magari si prendeva eccessivamente cura di altre persone agendo da ape regina. La configurazione di stampo classico fatta notare nel primo capitolo con Camille-uguale-mistero-uguale-relativa-risoluzione lascia pochi dubbi in proposito: la causa delle morti sta probabilmente all’interno di questo folle triangolo madre-figlia-sorellastra, e a tal proposito forse bisognerebbe guardare all’età di Amma (dodici o tredici anni) come a un elemento di collegamento in chiave conflittualistico, non tanto come semplice analogia. Il suo exploit certo non arriva all’improvviso, era già nell’aria ma solo poiché gestito male, a livello di ritmo e tempi. Vallée appare in questo episodio decisamente più compiaciuto, uniformandosi al tono generale, troppo impantanato nel reiterare il suo metro registico. Intendiamoci, il ritmo di Sharp objects non è lento, è narcisistico, spesso si adagia per risaltare spettri e psicologismi sui quali sarebbe meglio glissare. Il suicidio dal passato appare decisamente fine a se stesso, rivelandosi utile solo a scopi esemplificativi esattamente come questo sottobosco di razzismo & sessimo 101 che più che raccontarci che il Midwest ospita anfratti oscuri mette sotto i riflettori una visione idilliaca del resto dell’America per contrasto.
Una puntata affine alle sorelle maggiori, ma più scarna in termini di compattezza e uniformità. A partire dal minutaggio dedicato a figure con scritto “specchietto per le allodole” in fronte fino al depositarsi su schemi ampiamente prevedibili per non uscire dal seminato. Non siamo più dinanzi alla necessità di dare gas o fare un passo in avanti, bensì a quella, da parte della HBO, di dimostrarci che sta provando a confezionare un prodotto diverso, perché continuare su questa melodia significare riproporre la stessa roba da cassetta con un pacchetto regalo appena differente. La prossima settimana si arriva al giro di boa, che ci dirà molto sul futuro di Sharp objects, che potrebbe risollevarsi o piuttosto scivolare lentamente nell’anonimato nella sua eleganza borghesotta da pochi spicci.