Se un festival prestigioso come quello di Cannes ha ormai da due anni bandito i film prodotti da Netflix dalla kermesse, la Mostra del Cinema di Venezia non solo ha deciso di non unirsi alla lotta al popolare streaming service, ma sceglie di aprire la sezione Orizzonti della 75ma edizione con un Netflix original atteso e importante come Sulla mia pelle, racconto crudo e puntuale del caso Cucchi scritto e diretto da Alessio Cremonini, disponibile sulla piattaforma a partire dal 12 settembre prossimo.
Di casi di morte sotto detenzione tristemente famosi in Italia ce ne sono parecchi, dal caso Uva al caso Aldrovandi, e parecchie sono anche le ore di documentari, servizi, puntate di Un giorno in pretura e Chi l’ha visto e chi più ne ha più ne metta sull’argomento.

Sulla mia pelle però, che racconta gli ultimi giorni del ragazzo romano morto nel 2009 all’ospedale Pertini di Roma mentre era in attesa di processo per detenzione e spaccio, è il primo film di fiction vero e proprio con cui si decide di raccontare una di queste pagine nere della cronaca italiana. E non è certo una storia facile da raccontare, sia per il peso socio-politico di un fatto di cronaca del genere che per le diverse versioni dei fatti, da quella della famiglia, che sin dai giorni successivi alla morte del ragazzo sostiene che sia morto in seguito a un pestaggio avvenuto in centrale ad opera dei carabinieri, a quella degli inquirenti.

E l’approccio che Cremonini sceglie per mettere su pellicola una storia che ha più versioni è il più limpido possibile: Stefano (uno spaventosamente bravo e spaventosamente magro Alessandro Borghi) lo vediamo prima dell’arresto, provato e un po’ smunto ma in salute, e durante la prima udienza, emaciato e appena i grado di reggersi in piedi, ma non nel momento del pestaggio, come se il regista avesse voluto tenere fuori dal film quel tassello mancante nella ricostruzione di quelle giornate che ha dato poi origine a quasi dieci anni di udienze e processi.

In questo modo Cremonini cerca di raccontare non tanto la storia di Stefano Cucchi quanto quella del caso Cucchi, in un certo senso universalizzandola e avvicinandola così ad altre tristemente simili, in cui un tassello mancante (nel film la scena del pestaggio, nella storia processuale di questi e altri casi una testimonianza che chiarisca il decesso del ragazzo) ha reso interminabile la ricerca della verità.

Oltre a questo piccolo ma fondamentale particolare della “scena mancante”, a rendere Sulla mia pelle un film solido è un’impeccabile gestione dei tempi, con una serie di avvenimenti fondamentali per la ricostruzione dei fatti raccontati con chiarezza semplicità e distribuiti in poco più di un’ora e mezza con un ritmo volutamente incalzante, in un climax ascendente che culmina con la morte del ragazzo (che è anche la primissima scena del film).

Un film tratto da un fatto di cronaca simile rischiava di essere una semplice ricostruzione dei fatti senza un minimo di autorialità, o una di quelle pellicole che sacrificano storytelling e chiarezza per concentrarsi sul messaggio e sulla denuncia. Sulla mia pelle riesce invece a conservare entrambi gli aspetti, raccontando con un film degno di questo nome (arricchito dalla performance di un grande protagonista) una storia che meritava di essere raccontata nel migliore dei modi.