Il cielo bacia l’oceano ad Acapulco. Almeno è così per i fratelli Bennett, rampolli di una milionaria famiglia londinese nel settore dell’allevamento e della macellazione dei suini, mentre trascorrono una vacanza nell’iconica località messicana. Dalla piscina a sbalzo sul mare nel resort esclusivo in cui soggiornano, anche il tempo sembra assumere quella dimensione imperturbabile di cui solo i milionari riescono a godere.
Almeno finché non arriva una telefonata foriera di cattive notizie. Neil, Alice (Tim Roth e Charlotte Gainsburg) e i figli di quest’ultima sono costretti a fare i bagagli e tornare rapidamente in Europa. All’aeroporto però, Neil finge di aver perso il passaporto. Rimarrà ad Acapulco, questa volta nei quartieri dei locals, tra menzogne alla famiglia e birre in riva al mare. Fuori dal circuito turistico a cinque stelle, la città è ben diversa: il calore della popolazione locale si alterna a improvvise esplosioni di violenza che non fanno ormai più scalpore.
Dopo Nuevo Orden, Gran Premio della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia 2020, Michel Franco torna a raccontare conflitti e disuguaglianze nel Messico di oggi. Lo fa questa volta partendo da un’esperienza personale – un tentativo di rapina subito, per fortuna senza gravi conseguenze, proprio ad Acapulco – con il consueto rigore stilistico, costruendo una vicenda allo stesso tempo enigmatica e lineare.
In Sundown tutto sembra così esplicito e allo stesso tempo non detto. Assistiamo incuriositi e impotenti al percorso misterioso intrapreso da Neil per accorgerci che, in fondo, ciò che lo spinge a comportarsi in questo modo non è così importante. Il controllo, così come la libertà, è un’illusione, solo più amara per i milionari abituati a ottenere sempre quello che vogliono.
Franco costruisce un racconto silenzioso e quasi privo di dialoghi in cui la purezza delle immagini si contrappone alla supposta indolenza del protagonista, in realtà quasi ascetico interprete di una contemporaneità in cui tutto è normalizzato e nulla scalfisce la superficie. Ma se la narrazione diventa quasi ipnotica nella sua ripetitiva linearità, in Sundown la complessità del contesto fatica a emergere, in parte deviata da alcune soluzioni “a effetto” che intervengono nel finale senza aggiungere molto alla storia.
Un film politico e intrigante nei presupposti che però non riesce a emanciparsi da un’essenzialità eccessiva.