In concorso al Sundance Film Festival 2015, Tangerine è uno dei 5 piccoli capolavori sfornati lo scorso anno dalla prolifica casa di produzione indipendente Duplass Brothers Productions. Girato con un budget esiguo (meno di 100.000$) e con mezzi più che modesti, il film è un racconto crudo e sincero ambientato in una violenta periferia, che tratta una serie di temi, dalla prostituzione all’amicizia, dalla droga alle tematiche LGBT, con una maturità notevole.
La trama è molto semplice: Tangerine segue le vicende che colpiscono le travestite Sin-Dee e Alexandra e il tassinaro armeno Razmik durante un’assolata vigilia di Natale nei sobborghi di Los Angeles. Parlandoci di tradimenti, prostituzione e droga, il film ci catapulta nell’ultima periferia del mondo con tanto verismo quanto con ironia, alternando dramma e grottesco in una storia che lascia spazio anche a un certo sentimentalismo.
Dire che le nuove tecnologie abbiano cambiato il mondo del cinema indipendente è tanto banale quanto sacrosanto. È infatti doveroso precisare che stiamo parlando di un film girato utilizzando esclusivamente 5 iPhone 5s, con un budget 2500 volte inferiore (per fare solo un esempio) a quello dell’ultimo capitolo della saga di James Bond. E non si tratta solo di uno strumento di fortuna: utilizzando infatti lo smartphone come un’aggressiva camera a mano, il regista Sean S. Baker è riuscito a imprimere al film uno spirito crudo e verista, quasi come un passante che si trova a riprendere una rissa al semaforo.
La sensazione che domina durante tutto il film è infatti quella di una profonda immedesimazione nelle vicende narrate, intesa non come una vicinanza emotiva nei confronti dei personaggi, ma piuttosto come la sensazione di essere presenti come spettatori di una storia tanto grottesca quanto quotidiana. Non capiamo i protagonisti, ma li sentiamo incredibilmente vicini. E in mezzo a questo tragicomico squallore, fatto di bordelli improvvisati in stanze di motel e di risse in mezzo alla strada, Baker riesce anche a trovare alcuni momenti di poesia, per esempio incorniciando le protagoniste in uno strepitoso tramonto che illumina circa metà delle scene del film. Anche la trama, di per sé così cruda e spoglia, si apre a tratti a un certo sentimentalismo, nel raccontare l’adorabile sogno che Alexandra ha di diventare una cantante.
Ma ovviamente non è solo il sentimentalismo a caratterizzare la sceneggiatura di Tangerine: scegliendo di far interpretare Sin-Dee e Alexandra a due transessuali conosciute per caso in un centro LGBT e alla loro prima prestazione attoriale, Baker decide di raccontare il mondo dei transessuali con un taglio decisamente diverso rispetto a quello a cui siamo stati abituati in tempi recenti. Se infatti lo scorso anno, tra cinema e tv, abbiamo visto il tema della transizione di genere attraverso personaggi simpatici (come nella pluripremiata serie Transparent) o comunque lontanissimi da qualsiasi luogo comune legato alla condizione del transessuale (è il caso del film candidato a 4 premi oscar The Danish Girl), in Tangerine Alexandra e Sin-Dee non potrebbero essere più simili allo stereotipo del trans da marciapiede, una scelta audace che ancora una volta denota il taglio crudo e senza filtri di questo film.
In conclusione, Tangerine è forse il film indipendente più interessante della scorsa stagione cinematografica, che, pur trattando temi forti e pur non risultando furbescamente “leggero”, riesce a regalare un’ora e mezza di grande cinema.