Act of killing è un documentario sulla purga anticomunista che ebbe luogo in Indonesia tra il 1965 e il 1966, descritta dal punto di vista di due gangster del tempo. Il regista, Joshua Oppenheimer, dopo essersi trasferito in Indonesia nel 2004 e aver conosciuto il passato della nazione, decide di andare a indagare su questo eccidio.
E lo fa nel 2012, con appena un milione di dollari di budget, ma potendo contare su Werner Herzog e Herrol Morris (due dei più grandi documentaristi degli ultimi quarant’anni) come produttori esecutivi. Oppenheimer contatta due dei responsabili della purga: Anwar Congo, un assassino professionista, e Adi Zulkadry, figura di comando all’interno della Pancasila Youth, organizzazione paramilitare che gestiva la situazione a quel tempo, per poi dare loro la possibilità e i mezzi per raccontare le rispettive memorie con un film.
Tant’è che Act of killing risulta un documentario ibrido e meta-cinematografico che ha come protagonista un film: quello che i due carnefici stanno girando su invito di Oppenheimer, atto a narrare dal loro punta di vista gli eventi di nemmeno cinquant’anni prima.
In questo senso l’opera dell’autore è da considerarsi come un impietoso backstage del rifacimento filmico di una serie di atrocità a opera dei medesimi autori di queste, montato in maniera non lineare attraverso una serie di episodi che si susseguono per associazione di idee, permettendo di mettere ancora più in risalto l’approccio spensierato dei due carnefici.
Sembra surreale l’indifferenza che permea la voce di Zulkadry quando parla delle sue azioni passate, quasi scocciato dalle continue domande, che reputa inutili e noiosi convenevoli necessari a fargli girare il film; così come appare surreale anche il tono con cui Congo racconta al regista (che chiama con confidenza Josh) come strangolava le vittime, dilungandosi nella descrizione dell’atto, ostentando orgoglio per l’efficacia del metodo da lui sviluppato, che permetteva di evitare gli spargimenti di sangue e quindi di sporcare.
Esatto: sporcare. Perché era quello il problema, non lasciare tracce: non ci sarebbero state comunque conseguenze per quegli assassini (è lo stesso Congo ad ammetterlo, con lucidità).
Così tra spiegazioni circa il loro operato e richieste di consigli su come rappresentarle, i due protagonisti non solo tentano di girare un film sul suddetto genocidio, ma adattano le situazioni ai loro generi preferiti, contaminandole con elementi di finzione presi dai film western, gangster o d’azione che andavano di moda a quei tempi, divertendosi con le attrezzature a disposizione. Diremmo, letteralmente, come bambini con nuovi giocattoli.
Per lo più queste “deviazioni” verso il cinema da loro amato non hanno altro scopo se non quello di eroicizzare i personaggi interpretati da loro stessi, aggiungendo scene con voice-over e colonna sonora epica, flashback e scene oniriche per dare sfogo a tutte le loro fantasie. A questo proposito è emblematica la scena in cui i due litigano per avere la scena più bella.
Tra i due però, e anche tra tutte le altre persone da loro chiamate a partecipare al film (complici e talvolta anche amici con cui erano rimasti in contatto) Oppenheimer sceglie di concentrarsi su Anwar Congo, perché è l’unico da cui nel corso del film traspare qualcosa di umano. È l’unico che approfitterà del film per sperimentare il ruolo della vittima, mosso da sincera curiosità. Questa è la prima di una serie di azioni (tra cui quella, tanto raccapricciante quanto ingenua, di far vedere il film ultimato a tutta la famiglia, nipotini inclusi) che lo porteranno alla fine verso un sincero pensiero di rimorso, attuato grazie alla finzione filmica.
Rimorso che poi è il punto finale e vero di un percorso totalmente falso: il film che i due stanno girando è solo un’accozzaglia di scene senza senso, lo spettatore stenta a credere che i due siano stati così ingenui da inscenare questo teatrino inconsapevole, da cadere in quello che è solo un inganno, una presa in giro da parte di un regista che gira il suo backstage con distacco.
Il risultato di questa falsa presa in giro è uno spettacolo veramente disturbante: Act of Killing.
Titolo originale: The Act of Killing – L’atto di uccidere
Nazione: Regno Unito, Danimarca, Norvegia
Anno: 2012
Genere: Documentario
Durata: 122′
Regia: Joshua Oppenheimer
Sito ufficiale: theactofkilling.com/
Cast: Haji Anif, Syamsul Arifin, Sakhyan Asmara, Anwar Congo, Jusuf Kalla, Herman Koto, Haji Marzuki, Safit Pardede, Ibrahim Sinik, Soaduon Siregar
Produzione: Final Cut for Real
Distribuzione: I Wonder Pictures
Data di uscita: 17 Ottobre 2013 (cinema)