Nuova creatura di Joanna Hogg uscita dalla scuderia della A24 – che qui al Lido ci ha già regalato The Whale di Darren Aronofsky e Pearl di Ti West, confermando la lungimiranza dei propri quadri dirigenti per quanto riguarda gli appetiti del pubblico più smaliziato (o presunto tale) –, The Eternal Daughter è un racconto generazionale di squisita ambientazione gotica le cui ambizioni intellettuali non sono purtroppo all’altezza della sua ricercatezza formale, disseminato com’è di spunti intriganti che lasciano intuire il potenziale non completamente realizzato di un ottimo soggetto.

Madre e figlia – entrambe interpretate da Tilda Swinton, la cui performance continua a lasciarci senza fiato, esattamente come fece quattro anni fa nel Suspiria secondo Guadagnino – si ritirano in un isolato albergo nella campagna gallese, un’ampia magione che, ormai diversi anni addietro, era stata la casa d’infanzia della prima. Tra sparizioni canine, insonnia e fortuiti incontri notturni, le due cercheranno di venire a capo dei rispettivi segreti, materiale utile per un film che, al momento, sembra non volerne sapere di farsi scrivere…

Dopo il felice esito del dramma in due atti Souvenir (2019, 2021), ritratto della borghesia londinese percorso da una discreta ma implacabile iconoclastia – affidata in primo luogo alla protagonista filmmaker e alla sua reazione creativa alla delusione amorosa –, Hogg torna a parlare di sé in quanto artista, aggiungendo alla sua poetica un importante tassello autobiografico, di altrettanto interesse anche per l’amica e storica collaboratrice Swinton: la maternità e lo scambio di ruoli tra figlio e genitore che si innesca al momento in cui quest’ultimo abbia raggiunto una certa età.

Per tutta la sua durata, infatti, The Eternal Daughter mette in scena – la cui credibilità poggia interamente sulle spalle dell’attrice protagonista, grazie a decise sfumature di intensità e intonazione che permettono di fugare il senso di straniamento derivante dal doppio ruolo – una incessante quanto cordiale caccia ai ricordi, dove la maieutica di Swinton-figlia non serve solo il nobile scopo di portare la controparte materna a rivivere dei momenti felici, quanto a portare a galla materiale per il suo prossimo film, dedicato alla medesima: per ottenere ciò che vuole, essa si dimostrerà sempre attenta e financo troppo premurosa verso Swinton-madre, cercando al contempo di simulare l’esperienza di maternità che lei stessa, in quanto senza figli, non ha potuto vivere col suo compagno.

Il tutto si consuma nell’elegante cornice di un degno epigono dell’Overlook Hotel, le cui atmosfere si richiamano ai migliori film di genere, tanto da lasciar supporre uno sviluppo sulla falsariga di The Others (2001) o Sleepy Hollow (1999).

The Eternal Daughter

Tuttavia, anche tralasciando il fatto delle (legittime) aspettative frustrate, è vero che The Eternal Daughter non dà mai seguito alla tensione generata, aprendo diversi interrogativi che non solo non hanno uno sviluppo prettamente orrorifico, ma mancano di uno sviluppo tout court: la receptionist che ogni giorno viene accompagnata a casa da un’auto con stereo a tutto volume, il fortuito incontro col custode notturno, le finestre e porte che si aprono misteriosamente portando l’amico a quattro zampe della protagonista a perdersi nella tenuta, restano tutti privi di coronamento, dal momento che il finale riporta la trama alla razionalità, disperdendo l’alone di soprannaturale creato – e allora perché evocarlo in primo luogo, viene da chiedersi.

Anche l’impressione che potesse in qualche modo trasformarsi in un Cani di paglia (1971), con l’intellettuale distolta dal suo lavoro che, nel contesto della retriva campagna inglese, diventa presto l’oggetto delle angherie dei locali, si rivela errata. A conti fatti, Hogg firma una pellicola non poi tanto diversa, nel suo nucleo ideologico, dall’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal The Lost Daughter (2021) premiato l’anno scorso al Lido, dove il ricordo del passato si faceva insostenibile, complice un rapporto madre-figlia percorso da traumi ed egoismi – egoismo che a Swinton-figlia viene indirettamente rinfacciato dalla controparte, nella specie della sua scelta di carriera e conseguentemente riproduttiva.

Insomma, nonostante l’elegante grana in 16mm e l’eccelso gioco di ombre ricreato negli interni dell’hotel, dove sono le moderne luci d’emergenza verdi e bianche – anziché le inflazionate candele e affini – a definire i contorni della scenografia, Hogg firma con The Eternal Daughter un film più manierista del consueto, che non si accompagna però ad altrettanta profondità nello scandagliare le tenebre della sua doppia protagonista, senza contare il fatto della ghost story abbozzata e di fatto mai compiutamente iniziata. Una pellicola che mette molta carne al fuoco, ma non sembra mai ingranare davvero.