Il Rupert Everett di oggi è un ragazzo ormai sessantenne, assai alto, benché leggermente incurvato, barba grigia e capelli dello stesso colore tagliati a spazzola; non si riconoscerebbe in lui il divo che abbiamo tanto amato anche se è sempre paziente, gentile, disponibile e cordiale come raramente si mostrano i personaggi dello spettacolo. Ospite di una preview del festival Lovers di Torino, ha promosso personalmente questo suo lavoro su Oscar Wilde, che lo vede contemporaneamente regista e protagonista.

Di Wilde si conosce ormai tutto su vita e l’opera, ma questo film aggiunge qualcosa che non si era ancora vista al cinema: quella sua tendenza autodistruttiva, più forte di lui, quella tentazione irresistibile (per parafrasare uno dei suoi aforismi) persino più forte dell’amore per i figli e anche per la moglie. Wilde, nobile, colto e ricco, andava voracemente alla ricerca di emozioni e esperienze nei ghetti, nei sobborghi, nelle catapecchie, nelle osterie.

“Uno degli aforismi di Wilde – ricorda Everett – era che ognuno uccide ciò che ama: probabilmente un istinto naturale insito nell’animo. Ma bisogna anche tener presente che Wilde era un irlandese in Inghilterra: ossia era in una situazione che allora era difficilissima per chiunque. Figuriamoci per un omosessuale, seppur geniale. Anche questo spiega il suo cupio dissolvi. Wilde – prosegue l’attore e regista – è stato comunque un precursore sia nell’arte sia nella vita privata, con il suo comportamento è stato il primo militante per i diritti omosessuali nella storia, in un’epoca in cui persino il termine “omosessuale” non esisteva ancora”. Tendenze autodistruttive ma anche cocenti umiliazioni, durante e i due anni in carcere, passando in breve tempo dagli allori alla polvere.

The Happy Prince, Rupert Everett- Foto © Romina Greggio

Le foto del cast di The Happy Prince alla Berlinale 2018

Il titolo si richiama a una novella per bambini scritta da Wilde per gli amatissimi figli e che lo stesso Everett bambino era solito ascoltare dalla sua stessa madre. La novella fa da filo conduttore alla trama e il film non fa sconti a Wilde: ne descrive gli ultimi anni, quelli dopo l’esperienza drammatica della galera e poi della fuga, dell’esilio, dei pentimenti e delle inevitabili ricadute. Non morì vecchio, Oscar Wilde, ma invecchiato e logorato da anni di perdizione, di droghe, di assenzio, di tentativi di rinascita letteraria e di miserie.

Everett offre una interpretazione drammatica e convinta di un personaggio che, se non fu un uomo esemplare, certamente fu un artista unico, geniale, sensibile e tormentato.  Ottimo anche tutto il cast.

Un film biografico che è una testimonianza di affetto e un manifesto militante e palpitante.