La giovane Anamarija si è finalmente aggiudicata l’agognato posto di ruolo in qualità di mediatrice tra insegnanti, alunni e genitori in una scuola media croata e inizia l’anno scolastico con grande motivazione. Il lavoro tra i banchi, i corridoi e l’aula professori si rivelerà però molto piu’ complesso del previsto e metterà a nudo tutta una serie di problemi insiti nell’istituzione stessa (docenti poco professionali, genitori aggressivi, conflitti tra generazioni…), a cui sarà difficile fare fronte senza rischiare una crisi di nervi…

A suo modo presenta una sua unità di tempo, di luogo e di azione questo debutto nel lungometraggio della trentenne croata Sonja Tarokić, subito approdato tra i dodici film che in questi giorni si contendono il premio principale all’edizione numero 55 del Festival di Karlovy Vary. La narrazione copre un intero anno scolastico, con le sue “tappe obbligate” (l’energia post-vacanze estive di settembre, il rinfresco di Natale, gli scrutini, la gita, la recita di fine anno…); salvo rare eccezioni, ci muoviamo continuamente negli interni immediatamente riconoscibili di una scuola, con una particolare predilezione per l’aula professori del titolo, quella sorta di “dietro le quinte” dell’insegnamento dove si intrecciano i rapporti piu’ o meno informali tra i docenti durante le pause, si pianificano le attività didattiche e si svolgono i consigli di classe; il nocciolo del film, infine, è senz’altro una riflessione sulle funzioni (e sulla discrepanza tra queste ultime e la realtà dei fatti) di un’istituzione scolastica scrupolosamente osservata dalla prospettiva della protagonista Anamarija, un’energica educatrice che nel ruolo dell’istituzione di cui sopra (e della propria “missione” all’interno di essa) crede incondizionatamente… questo, ovviamente, prima di essersi addentrata da completa outsider in un vespaio di problematicità, conflitti irrisolti e inadeguatezza delle risorse (in primo luogo umane) dell’istituzione stessa.

Bambini con problemi di iperattivismo, deficit di concentrazione e primi ormoni in festa, ragazzini ossessionati – e come potrebbe essere altrimenti, oggi? – dalle riprese goliardiche con lo smartphone, colleghe pettegole, genitori agguerriti, una direttrice dal comportamento non certo eccepibile, insegnanti anziani con un approccio ormai completamente obsoleto al loro mestiere e, ciliegina sulla torta, un professore di storia paranoico e complottista che la storia la insegna per l’appunto a modo suo: in 126 minuti di film ci viene proposto un ricchissimo caleidoscopio, non scevro di gustosi momenti tragicomici, dei grattacapi capaci di togliere il sonno a chiunque lavori a scuola.

Anamarija avrebbe proprio il compito di occuparsi di questo genere di problematiche in quanto educatrice e mediatrice: questo ruolo, introdotto in tempi relativamente recenti all’interno di molte scuole, croate e non, a prescindere dai risultati dimostra come sia stato fatto un passo in avanti nella comprensione dei problemi insiti nell’istituzione scolastica. Ma tra la comprensione dei problemi e la loro risoluzione, come ben vediamo in questa Staffroom balcanica, c’è di mezzo il mare, complice la riluttanza di colleghi e genitori a dare il loro contributo attivo alle iniziative di Anamarija.

La macchina da presa segue insistentemente la protagonista nelle sue nervose camminate tra i piani e le aule dell’istituto, tra primi piani ravvicinati e lunghi piani sequenza, con un piglio documentaristico ben sottolineato dai numerosi attori non professionisti (in primo luogo i bambini). Nonostante l’estrema spontaneità e naturalezza della messinscena, però, a uno sguardo piu’ attento non possono sfuggire elementi simbolici che, sparsi a mo’ di indizi in svariati momenti del film, allargano la prospettiva del “qui ed ora” in cui si snodano le vicissitudini della protagonista.

Basti pensare alle inaspettate intrusioni a tutto volume degli inconfondibili canti popolari balcanici per coro a cappella, unica colonna sonora extra-diegetica fatto salvo per il ritmo ostinato della tachicardia della povera Anamarija man mano che si ingigantisce la massa di incombenze da affrontare; oppure ai colori vivaci dei vestiti della stessa Anamarija, le cui fantasie sgargianti fanno pendant con il colore rosso dei muri e di altri accessori della scuola (un dettaglio effettivamente poco realistico, a pensarci bene), oltre che con i disegni dei bambini e altri quadri appesi alle pareti, chiara eco di stilemi assai tipici dell’arte popolare slavo-meridionale.

Come la stessa regista ha spiegato in un’intervista, la loro funzione è non solo accentuare il legame tra le vecchie e le nuove generazioni all’interno dell’istituto – tema centrale del film cui si è già accennato – ma anche e soprattutto far capire in che misura la scuola, almeno in linea teorica, dovrebbe essere il luogo dove formarsi per la vita “fuori” guardando al futuro sempre attraverso la riflessione sulle proprie radici, la propria identità e la sua evoluzione: un obiettivo tanto piu’ attuale in un paese giovane come la Croazia, impegnato da tempo nel delicato compito di delineare il proprio profilo culturale dopo essere uscito, poco meno di trent’anni, fa da una guerra devastante che, peraltro, metà del corpo docente del film deve aver vissuto direttamente, mentre l’altra metà ne conserva, probabilmente, solo dei ricordi d’infanzia; gli alunni nati attorno al 2010, dal canto loro, forse ne ignorano perfino l’esistenza. Non è un caso che il principale oggetto del contendere nel film sia l’insegnamento di una materia come la storia. Purtroppo, l’amara ironia che pervade The Staffroom lascia intendere che la scuola, per come è fatta ora, è ben lungi dall’essere maestra di vita…

E a fine visione è difficile non convincersi che, come spesso sostiene chi è ben addentro al sistema scolastico, fare l’insegnante sia uno dei mestieri piu’ difficili del mondo – e anche uno dei piu’ sottovalutati e bistrattati perché paradossalmente ritenuto, al contrario, semplice e poco usurante… Ma comunque vale la pena farlo e mettercela tutta, buttandosi nella mischia come la protagonista con il suo globo luminoso tra le mani alla recita scolastica nella scena che chiude il film.