Già affermato fotografo e reporter dal Congo, il newyorkese Daniel McCabe (trasferitosi però da anni nel paese africano) ha presentato fuori concorso alla 74a Mostra del Cinema di Venezia il suo primo lungometraggio, il documentario di guerra This Is Congo, che condivide il nome con una raccolta fotografica dello stesso autore di qualche anno prima.
Attraverso un approccio tanto semplice quanto crudo e graffiante, McCabe racconta gli antefatti e le problematiche che stanno all’origine dei sanguinosi conflitti che da oltre vent’anni affliggono la repubblica africana, dando allo spettatore una vera e propria lezione di geopolitica che risulta perfettamente comprensibile e ben confezionata.
Il racconto della lunga guerra tra l’esercito nazionale congolese e le forze ribelli (in particolare il movimento M23) viene affidato a una serie di personaggi, sia civili che militari, sia ribelli che fedeli al governo di Kinshasa. In questo modo, McCabe può far conoscere al pubblico il colonello Kasongo, nome fittizio di un ex colonnello dell’esercito regolare del Congo con esperienze in ben tre movimenti ribelli, il colonnello Mamadou Ndala, adorato dalle folle per la sua spietata lotta al movimento M23 (c’è chi, accogliendolo in festa, lo chiama “il Gesù di Goma”) ma anche un sarto e una trafficante di pietre preziose, che cercano di vivere alla giornata in un paese in cui risorse e infrastrutture scarseggiano sempre di più, sia per la guerra che per la presenza molto poco sentita del governo e del presidente Joseph Kabila.
La carenza di interviste ai ribelli, a favore invece di una serie di incontri con civili e rappresentanti dell’esercito regolare, viene compensata da un ritratto non lusinghiero del governo centrale: anche per questa sorta di par condicio un po’ zoppa (ma pur sempre animata dal desiderio di portare la testimonianza di entrambe le parti in causa) This Is Congo appare come una sentita denuncia contro l’insensatezza della guerra piuttosto che come un documento a sostegno dell’una o dell’altra fazione. D’altronde la forza comunicativa delle immagini che il regista sceglie per raccontare questo pezzo di storia è incredibilmente segnante: ai colori cangianti dei vestiti di abitanti e intervistati e delle verdi distese coltivate si accostano nel modo più diretto possibile primi piani dei volti dei soldati segnati da profondissime cicatrici, lunghe camere fisse sui corpi di ribelli morti in guerra e anche qualche angosciante sequenza ripresa durante i combattimenti. Quello che McCabe vuole mostrare allo spettatore (grazie e soprattutto al racconto del misterioso colonnello Kasongo, la cui testimonianza è stata trasformata nella voce narrante di tutto il film) è una realtà molto più complessa di un conflitto tra forze antigovernative ed esercito regolare: nel documentario si parla sia del presunto sostegno di Ruanda e Uganda al movimento M23 che delle pesanti accuse di corruzione contro il presidente Kabila, che meno di un anno fa ha prolungato il proprio mandato di diversi anni destinando il paese a un’ulteriore spirale ascendente di tensioni.