Turandot, l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, va in scena al Teatro La Fenice, in una nuova versione. Il dramma lirico in tre atti di Giuseppe Adami e Renato Simoni, dalla fiaba teatrale omonima del veneziano Carlo Gozzi, tornerà in scena in un nuovo allestimento con la regia di Cecilia Ligorio, le scene di Alessia Colosso, i costumi di Simone Valsecchi e il light design di Fabio Barettin. A guidare l’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice l’autorevole direzione di Daniele Callegari.
Il libretto firmato dai poeti Giuseppe Adami e Renato Simoni si basa sulla Turandotte di Carlo Gozzi, la tragicommedia, tra le dieci «fiabe drammatiche» rappresentate a Venezia tra il 1761 e il 1765, che rappresentava un capitolo dell’aperta polemica tra il nobile scrittore e Carlo Goldoni. Due visioni diverse del mondo dei due autori veneziani: da una parte quella dell’universo realistico, borghese e sostanzialmente illuminista di Goldoni, dall’altra quella del conte Gozzi con il mondo improbabile e ardito della fiaba e della commedia dell’arte.
Il lavoro di Giacomo Puccini (Lucca 1858 – Bruxelles 1924) con i due librettisti si avviò nella primavera del 1920: in quattro anni di lavoro durissimo, Puccini portò a termine quasi completamente la vicenda ambientata «A Pekino al tempo delle favole», dove il principe Calaf, innamorato della gelida principessa cinese Turandot, riesce a risolvere i tre enigmi cui lei sottoponeva gli incauti aspiranti alla sua mano (le cui soluzioni erano notoriamente speranza, sangue, Turandot). La morte però colse Puccini mentre stava componendo l’atto terzo e aveva ultimato tutta la scena della morte di Liù, che per amore di Calaf si dà la morte.
L’opera andò in scena il 25 aprile 1926, diretta da Arturo Toscanini, con il finale approntato dal compositore Franco Alfano. È noto l’episodio che vide, alla prima, Toscanini posare la bacchetta, proprio dopo l’ultima scena di pugno del Maestro, e giustificare al pubblico la scelta di non proseguire declamando: «Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto».
Puccini fece ricorso a raccolte di melodie cinesi autentiche, come pure al carillon in possesso dell’amico barone Fassini. Il musicista seppe inoltre ideare soluzioni timbriche nuove e suggestive, al tempo stesso violente e ricercate, rinforzando il settore orchestrale delle percussioni. Inedita importanza rispetto alla produzione pucciniana precedente hanno anche le scene corali, che a più riprese sottolineano la tragica condizione delle masse sottomesse a un potere folle e ferito. Ai tre dignitari Ping, Pong e Pang e ai loro commenti disincantati e cinici è, invece, affidato il compito di alleggerire la tensione mortale, dominante in gran parte dell’opera, e di riportare l’azione entro una prospettiva di condivisibile ragionevolezza.
Nel cast del nuovo allestimento della Fenice spiccano per i ruoli principali le presenze del soprano Oksana Dyka, in alternanza con Teresa Romano, nel ruolo della principessa di ghiaccio; del tenore Walter Fraccaro in alternanza con Carlo Ventre nel ruolo del principe ignoto Calaf; di Carmela Remigio, in alternanza con Francesca Dotto, in quello di Liù. Completano il cast Antonello Ceron nel doppio ruolo dell’imperatore Altoum e del principino di Persia, Simon Lim nel ruolo di Timur; Alessio Arduini, Valentino Buzza e Paolo Antognetti interpreteranno rispettivamente Ping, Pang e Pong; infine Armando Gabba sarà il mandarino e Massimo Squizzato e Bo Schunnesson saranno il principe di Persia. Il Coro del Teatro La Fenice, preparato da Claudio Marino Moretti, sarà affiancato dal Kolbe Children’s Choir istruito da Alessandro Toffolo.
L’opera, proposta con il completamento del terzo atto di Franco Alfano, ha avuto la prima il 10 maggio e proseguirà con altre repliche domenica 19 maggio ore 15.30, martedì 21 maggio ore 19.00, venerdì 24 maggio ore 19.00, sabato 25 maggio ore 15.30 e mercoledì 29 maggio ore 19.00. Sopratitoli in italiano e in inglese.